63.

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ANNE

Il mio corpo iniziò a svegliarsi, io però continuai a tenere gli occhi chiusi.

Tirai su la testa, sentendola pesante, appoggiandola al muro dietro di me.

Mi leccai le labbra, sentendole tremendamente secche e una parte leggermente gonfia.
Corrugai la fronte ed iniziai ad aprire leggermente gli occhi, vedendo sfocatissimo.

Feci per portarmi una mano sulla bocca, per tastarne il gonfiore, quando il mio movimento fu bloccato ed insieme si udì un rumore di catene.
Il mio cuore perse un battito e la mia mente iniziò ad essere più vigile.

Mi voltai di scatto, sentendo una tremenda fitta alle tempie.
Serrai gli occhi, cercando di abituarmi a quel dolore.

Abbassando lo sguardo, vidi i miei polsi stretti in due manette larghe e in ferro, legate a loro volta da una catena altrettanto pesante.

Iniziai a respirare a fatica, mentre alcuni frammenti di cosa era successo affiorarono pian piano nella mia mente.


Ero seduta immersa nei miei pensieri a fare i miei profumi e le mie essenze, cercando di non pensare a quello che avevo scoperto. Ad un certo punto avevo sentito il rumore di un ramo che veniva spezzato per colpa di un calpestio.

C'era qualcuno.

Avevo cercato di mantenere il sangue freddo e di non farmi prendere dal panico; avevo impugnato uno dei miei vari utensili, quello più appuntito, aspettando la mia sorte.
Avevo sentito poi un movimento più veloce, avevo fatto per girarmi ma quell'uomo era stato più veloce di me. Aveva stretto un braccio attorno al mio collo con forza.
Continuando a cercare di non farmi prendere dalla paura, avevo ricordato le mosse di difesa che mi aveva insegnato Can.
Avevo sferrato un fendente sulla coscia di quell'uomo, liberandomi dalla sua presa.
Mi ero alzata velocemente, vedendo che oltre all'uomo che mi aveva attaccato ce n'erano altri tre.
Non sarei mai riuscita a salvarmi.

Infatti eccomi qui.
Avevo lottato contro di loro con tutte le mie forze, ma avevano avuto la meglio.
Mi avevano addormentata, riuscendo a piantarmi una siringa nel collo.
Dopodiché mi avevano presa di peso e portata verso un furgone nero. La mia vista e gli altri miei sensi avevano iniziato a venire meno, l'ultima cosa che avevo sentito era uno di quegli uomini lamentarsi ed una voce femminile che gli aveva risposto.

Se solo fossi andata al lavoro, se solo fossi stata sotto le ali protettive di Can.
L'effetto del sonnifero stava iniziando a scomparire e con sé iniziarono a sentirsi le varie fitte di dolore.

Di sicuro tutto ciò era opera di Erkan, aveva fatto mille offerte a Can pur di riavermi e visto che lui ovviamente non aveva acconsentito, aveva deciso di passare all'azione. Dovevo trovare un modo per andarmene di qui, solo l'idea di finire di nuovo sotto le sue grinfie mi gelò il sangue nelle vene.

Cercai in qualche modo di sfilarmi quei bracciali di ferro, graffiandomi la pelle, ovviamente invano.
Poi il rumore sordo di un chiavistello, mi fece bloccare automaticamente.

Ero sicura di trovarmi in un sotterraneo; non c'era una sola finestra, l'unica fonte di luce arrivava da delle aperture minuscole situate poco più in giù del soffitto.
La penombra in cui mi trovavo si fece meno fitta, quando una porta in fondo a questa prigione, si aprì.

Non entrò subito qualcuno e la bocca del mio stomaco si contorse per l'ansia. Poi, ecco che la figura di un uomo, alto e coi capelli lunghi fece capolino.
Assottigliai gli occhi, provando a capire se fosse una persona che avevo già visto.

Intanto che si avvicinava lentamente verso di me, mi imposi di mantenere un'espressione fredda e stoica e la schiena dritta, dimostrandomi sicura.
Il rumore del tacchetto delle sue scarpe si fece sempre più vicino e il mio cuore batteva a mille.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang