26.*

2.8K 160 195
                                    

ANNE

Avvicinai la mano, ma poi la ritrassi.
Dio, stavo combattendo una battaglia assurda dentro di me.

Per una volta mi sarebbe piaciuto non pensare alle conseguenze.

Basta. Ormai ero qui e qualcosa dentro di me mi diceva che quella era la decisione giusta.

Presi un lungo respiro e mi feci coraggio.

Bussai impercettibilmente contro il finto legno.
Quasi non sapevo se avrei preferito che non sentisse quel leggero rumore oppure no.

Rimasi alcuni secondi ad aspettare ma sembrarono ore logoranti.

Stavo martoriando il mio labbro inferiore a furia di morderlo, intanto che cercavo di calmarmi giocherellando con l'orlo dei pantaloncini del pigiama.

Quando sentii la porta scattare mi si mozzò il fiato, ed avvertii le gambe improvvisamente molli. Perché ero venuta qui?

Nonostante sapesse benissimo che avrebbe trovato me dall'altra parte, sul suo viso si disegnò un'espressione stupita. D'altronde era già notte fonda e ci eravamo salutati circa sei ore fa, dopo aver cenato.

Eppure il suo volto sembrava distrutto, come se per tutto questo tempo non avesse chiuso occhio. Però potevo anche sbagliarmi io, d'altronde ad illuminarci c'era solo la luce soffusa del pianerottolo, i raggi di Luna che invadevano la sua camera e qualche minuscolo bagliore proveniva dalle luci dell'albero che avevo addobbato l'altro giorno.

"Cosa c'è Sanem?" Chiese irritato, trascinandosi una mano sul volto dato che io sembravo aver perso il dono della parola.

Anche se avessi voluto non sarei riuscita a proferire nulla. Socchiusi per un attimo gli occhi, cercando di infondermi il coraggio che mi mancava.

Deglutii e riaprii gli occhi, puntando i miei occhi nei suoi. Avanzai, fino a posare le mani sul suo petto nudo, sentendo ogni fascia muscolare muoversi sotto i miei polpastrelli.
Correva ogni mattina e alcune volte, nonostante il freddo, non rinunciava ad una nuotata, eppure sembrava ancora troppo bello per essere vero. Aveva un fisico tonico, era tutto un fascio di muscoli e forza.

Speravo che si accorgesse della mia paura come l'ultima volta, e prendesse lui l'iniziativa.

Feci ancora qualche piccolo passo, facendolo indietreggiare e quando finalmente capì, l'espressione perplessa scomparve dal suo volto.

Feci scivolare lentamente le mani sul suo addome scolpito, accarezzando l'albatros e raggiungendo l'orlo dei boxer. Prima mi fossi decisa, prima sarebbe finita e forse le mie ferite non si sarebbero riaperte.

Agganciai l'elastico tra le mie dita e feci per abbassarglieli, quando di scatto mi afferrò i polsi, bloccandomi. Sobbalzai dato che non mi sarei aspettata quel gesto.

Stringendomi ancora saldamente si avvicinò a me, posando la sua fronte sulla mia e portandomi le braccia lungo i fianchi. Socchiusi gli occhi per quel contatto così delicato. Ogni volta che faceva così mi sentivo al sicuro, protetta.
In certi momenti i modi in cui mi toccava, mi accarezzava o semplicemente appoggiava la fronte alla mia come in questo momento, mi sembravano così normali e familiari che mi spaventavano. Perché mai avrei dovuto provare tali sensazioni per lui... per il mio carceriere.

Con una semplice stretta mi comandò di non muovermi prima di accarezzarmi delicatamente le cosce e risalire fino ai miei fianchi. Il suo respiro era sempre più pesante e continuava a scaldarmi le labbra.

Le sue mani si strinsero attorno all'orlo della mia maglietta, ma sembrò esitare. Si riprese immediatamente e si allontanò più di quanto servisse per sfilarmela.
Quando scoprì che non indossavo il reggiseno i suoi occhi brillarono e si fecero più scuri.
Strinse la mascella rimanendo fermo a contemplare ogni centimetro della mia pelle. I suoi occhi si soffermarono sulle cicatrici dovute ai tagli che Erkan si divertiva a farmi, proprio come l'ultima volta che ero rimasta scoperta davanti a lui.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora