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CINQUE ANNI DOPO

Uscii dalla metropolitana, trasportata più dalla massa di turisti che dalle mie gambe, ritrovandomi davanti il Colosseo, eterno e imponente come sempre in tutta la sua meravigliosa maestosità.

Nonostante ci passassi davanti tutti i giorni o in un modo o nell'altro rimanevo sempre impressionata alla sua vista, come se fosse la prima volta che i miei occhi lo ammirassero silenziosi.
Non importava il periodo dell'anno in cui fossimo, che fosse gennaio o che fosse settembre, Roma era sempre invasa dai turisti, anche se comunque il periodo estivo era quello più intenso.

Riuscii a farmi strada tra la miriade di persone, diretta all'officina che si trovava a poco più di un chilometro da lì. Intrapresi Via dei Fori Romani e anche lì non potei fare a meno di osservare gli antichi resti che si trovavano alla mia sinistra.
Salutai "l'uomo dei fiori" all'angolo che ormai conoscevo quasi più delle mie tasche; sovente se non ero di fretta e passavo di lì scambiavo due parole con lui. Giuseppe, questo era il suo nome, non era un venditore ambulante: era in pensione e possedeva una bella casa con un grande giardino fiorito. Da li provenivano i diversi fiori che regalava alle turiste e alle coppie, ad un passo dal Colosseo.

Mi sistemai la piccola tracolla bianca sulla spalla e proseguii verso Piazza Venezia; il verde dell'erba della grande rotatoria e il bianco del marmo del Vittoriano splendevano, quasi brillavano, sotto la forte luce del sole.

Entrai nel largo piazzale della nostra officina, subito accolta da Artù il paffuto e vecchio meticcio che era ormai diventato la nostra istituzione, la nostra mascotte.

Lo accarezzai, grattandolo dietro le orecchie come gli piaceva.

Ridacchiai vedendo la sua faccia buffa ed estasiata; sembrava quasi strabico.

Gli diedi un'ultima carezza e mi avviai verso il mio piccolo ufficio. Feci per inserire la chiave nella toppa quando una chiave a stella o inglese, non me ne intendevo molto anche se lavoravo qui da quasi tre anni, si scaraventò contro il muro di fianco a me, facendomi sobbalzare per lo spavento.

Roteai gli occhi e serrai le labbra perché sapevo che altrimenti gli sarei scoppiata a ridere in faccia, dato che sapevo chi mi aspettava alle mie spalle.

Afferrai l'oggetto metallico che si trovava a terra e mi voltai verso di lui. "Cosa ho fatto questa volta?" Gli chiesi, lanciandogli addosso il piccolo attrezzo che tenevo tra le mani, che però lo schivò di almeno trenta centimetri. Si girò una piccola ciocca di capelli dietro l'orecchio, se quell'ammasso disordinato che aveva in testa si potevano chiamare capelli, ridacchiando compiaciuto. "È possibile che nonostante ti abbia fatto provare ad avvitare una bullone e insegnato a controllare l'olio, tu non sia ancora in grado di avere una mira decente?! Fa sempre più schifo!" Chiese preoccupato, con una delle sue solite frasi senza un nesso logico, indicando l'aggeggio che luccicava sotto il sole caldo.

Scossi il capo e mossi qualche passo nella sua direzione. "È possibile che nonostante io ti abbia fatto provare un palo da pole dance ed insegnato ad allacciare le scarpe, tu non sia ancora in grado di parlare o salutare o chiamare una persona, anziché lanciarle qualcosa contro?" Gli domandai, prendendolo per il culo come ogni mattina.

Cooper scoppiò a ridere ed io con lui. "Posso ancora abbracciarti pulce o sono già troppo oleoso e sporco per i tuoi gusti?" Non ebbi nemmeno il tempo di rispondergli che le sue braccia circondavano già le mie spalle. Grazie a Dio non mi vestivo troppo bene per venire qui, altrimenti visto l'animale che era avrei già dovuto cestinare la metà dei vestiti che avevo. Lo abbracciai a mia volta e gli diedi una bacio sulla guancia calda.

Si staccò da me e si sedette sul cofano di una delle macchine. "Allora pulce, qualche novità?" Chiese curioso come sempre, grattandosi con così tanta foga il collo che sembrava più un cane lui che Artù.

𝗦𝗔𝗕𝗕𝗜𝗘 𝗠𝗢𝗕𝗜𝗟𝗜 {𝙲𝚊𝚗𝚎𝚖}Where stories live. Discover now