Capitolo VIII

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Altopiano del Carso, 12 aprile 1916

La guerra continuava implacabile, in barba all'opinione pubblica che l'aveva definita "lampo": i soldati al fronte, in mezzo agli stenti nelle trincee, avevano ormai perso tutto l'amor di patria con cui erano partiti; i giovani, che per la maggior parte credevano fosse un gioco, in un anno avevano cominciato a capire quanto si sbagliassero.
Nel reggimento del maggiore Beretti, perfino Giuliano e Giovanni, i quali si erano sempre distinti per il loro atteggiamento allegro e viveur, negli ultimi quattro mesi erano profondamente cambiati.
Il giovane Solari, poi, era diventato il destinatario di una serie di lettere - tutte ancora senza risposta - che continuava ad inviargli Nadia Berardi: la ragazza, nonostante dovesse considerarsi fortunata per la prospettiva di diventare la futura signora Belfiore, non riusciva a smettere di pensare a lui e di amarlo, sebbene fosse stata solo l'oggetto di una scommessa; d'altra parte Giuliano era stato, fino ad allora, l'unico uomo della sua vita.
Quel giorno Giovanni gliene portò un'altra: l'amico le aveva appallottolate e riposte in un angolo dell'accampamento dove alloggiava.
<< Se Lucia sapesse di queste lettere, discioglierebbe della cicuta nel bicchiere della tua spasimante >> commentò il giovane Castroni, consegnandogli la missiva.
<< Non è la mia spasimante >> negò Solari.
<< È quasi tenera, nel suo patetismo, non trovi? >> rise l'uno.
<< A volte sai essere più insensibile di me. E ce ne vuole >> ironizzò l'altro.
<< La leggerai? >> chiese il primo.
<< Non lo so. Adesso desidero rimanere da solo, però >> rispose il secondo.
Giovanni fece spallucce e uscì dall'accampamento, cosicché Giuliano poté leggere il contenuto della missiva senza essere preso in giro:

Roma, 29 marzo 1916

Caro Giuliano,
so che non risponderai nemmeno a questa lettera, ma io te la spedirò lo stesso.
Me lo hanno detto in tanti, che sono la donna più fortunata dell'Urbe: Oreste Belfiore è l'erede di una delle famiglie più ricche della città, e mi garantirà un avvenire stabile e sereno.
Ma non è lui a cui mi sono concessa per la prima volta, non è a lui che ho donato il mio cuore e i miei pensieri: sei tu quello che amo, tutto ciò che voglio, e potranno dirmi che sono pazza e scellerata, ma sono sicura di quello che provo per te, così come sono sicura che il sole sorgerà ad est e tramonterà ad ovest.
Mi auguro che la tua vita al fronte non sia così dura come dicono, attendo e spero sempre tue risposte.
Con tutto il mio cuore,

Nadia.

Alla fine della lettera, Giuliano sentì una sensazione strana, come se nel suo petto si stesse facendo strada una genuinità che non aveva mai conosciuto: fu proprio tutto ciò a spingerlo a prendere carta e penna per rispondere alla lettera.

                                      ***

Roma, 24 aprile 1916

Dall'inizio del nuovo anno Delia Berardi aveva notato un atteggiamento strano da parte della figlia maggiore: nella sua giovane vita Nadia non aveva mai brillato per allegria ed espansività, ma negli ultimi tempi era diventata sempre più cupa ed introversa; passava sempre meno tempo in compagnia del promesso sposo, della sorella e di suo marito, e più chiusa nella sua stanza, alla scrivania: la Berardi sapeva che sua figlia aveva un diario segreto a cui affidava tutti i suoi turbamenti; non era inusuale che le ragazze della sua età ne avessero uno, ma Delia temeva che tutti quei turbamenti avessero un nome e un cognome: Giuliano Solari.
Sapeva bene cosa c'era stato tra il giovane conte e Nadia, dal 1912 al 1913: una semplice avventura, per lui; il grande amore, per lei.
Immaginava che la ragazza non l'avrebbe mai dimenticato, ma era certa che stesse cercando in qualche modo di mettersi in contatto con lui: perciò approfittò del fatto che Nadia fosse andata a trovare Elena, per entrare nella sua stanza e leggere il suo diario.
Era un quaderno verde con un fiocco di raso dello stesso colore, che la ragazza riponeva in un cassetto, la cui chiave era tenuta nel portapenne; Delia la prese, aprì il diario e lesse il contenuto dell'ultima pagina:

Caro diario,
ho inviato l'ennesima lettera a Giuliano e per l'ennesima volta non mi risponde: questo mi distrugge, ma mi distrugge ancora di più il fatto che non riesco a smettere di pensare a lui; l'idea che più mi fa soffrire e più lo amo può sembrare assurda, ma Dio mi perdonerà se non riuscirò mai a provare le stesse, identiche cose per Oreste.
Certo, mia madre ha fatto in modo che possa diventare, un giorno, mio marito, ma non lo amerò mai, mai quanto amo Giuliano.

Quelle righe furono per la Berardi come la conferma delle sue paure più profonde: doveva affrontare assolutamente Nadia, non appena fosse tornata a casa.

                                      ***

Non appena Nadia rientrò, trovò sua madre che l'aspettava in soggiorno, a braccia conserte.
<< Che cos'è questa storia? >> esordì, guardandola con espressione severa.
<< Quale storia? >> fece finta di niente la ragazza.
<< Una storia che dura da quattro anni e deve assolutamente finire >> affermò la donna, tirando fuori il diario della figlia.
<< Tu hai letto il mio diario? >> chiese sbigottita la giovane.
<< Ho dovuto farlo, Nadia. Ma ti rendi conto del guaio in cui ti stai cacciando? >> la rimproverò l'una.
<< Io amo Giuliano, mamma >> ammise l'altra, convinta.
<< Tu sei promessa a Oreste Belfiore, il miglior partito della città, come puoi rimpiangere un mascalzone che ti ha disonorata? >> le ricordò la prima.
<< A me non importa di Oreste. Sei tu che vuoi che lo sposo, tu che hai fatto chissà quali manovre per far sposare Elena con Marcello Ghisoni! >> rinfacciò la seconda.
<< Tutto quello che ho fatto l'ho fatto per voi, per il vostro futuro! Possibile che non lo capisci? >> la pregò Delia.
<< Preferisco un amore difficile ma sincero, che uno facile ma costruito sull'inganno! >> sostenne Nadia, riprendendosi il diario e dirigendosi nella sua camera da letto.
La Berardi aveva paura di chiedersi cos'avesse in mente sua figlia, ma andare a mischiarsi con i Solari sarebbe stato sicuramente pericoloso.

                                     ***

Roma, 2 maggio 1916

Le notizie dal fronte non erano buone, come sostenevano Aristide, Giuliano, Filippo ed Emilio nelle lunghe lettere che inviavano ai familiari: la Triplice Alleanza, che sembrava invincibile, cedeva sempre di più sotto i colpi dell'Inghilterra, della Francia, dell'Impero Russo e degli Stati Uniti.
L'ultima missiva aveva particolarmente sconvolto Isabella, che quella sera a cena prese una decisione.
<< Le città non sono più sicure >> decretò, tra il brodo e il filetto di manzo.
<< E con ciò? >> chiese Lucia, rientrata a Palazzo Solari dopo lo scandalo che aveva portato Emilio ad annullare le sue nozze con lei.
<< Non possiamo stare a Roma, potrebbero bombardarla. Dobbiamo sfollare nella tenuta di Olevano Romano >> decise la contessa.
<< Ma in campagna perderemo i contatti con il mondo! >> si oppose Francesca, che non aveva mai amato la tenuta di campagna dei Solari.
<< Ma così avremo salva la vita. Giusto, zia? >> indovinò Greta.
<< Giusto, cara. E poi Olevano non dista molto da Genzano. E anche i Giardini hanno deciso di sfollare >> replicò la padrona di casa.
Francesca impallidì a sentir nominare il luogo dov'era morta sua sorella Andreina: da quel giorno sperava di guardare in faccia il principe Giardini e la sua famiglia il meno possibile.
<< I Giardini? >> domandò la contessina Solari, il cui pensiero era costantemente rivolto a Renato.
<< Il principe Giardini non si è sentito molto bene, per cui la principessa Teresa ha colto la palla al balzo, unendo il bisogno di aria buona alla volontà di salvarsi la vita >> spiegò la contessa Negroni.
<< A me piace tanto la tenuta di Olevano! >> esclamò la piccola Agata Solari.
<< Anche a me! >> le diede manforte suo fratello Vittorio.
<< Allora è deciso. Partiremo tra due giorni! Dirò alle cameriere di cominciare a preparare i bagagli oggi stesso, e ad Arnoldo e Saverio di pensare alle carrozze >> decretò Isabella.
Da quando era nata, non era la prima guerra che aveva visto, ma tale conflitto era diverso, coinvolgeva diversi paesi anche extraeuropei: se anche fosse finita in fretta, non le lasciava presagire nulla di buono.

Tutta la vita che non abbiamoWhere stories live. Discover now