Capitolo XIX

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Roma, 22 giugno 1918

Era appena passato il solstizio d'estate, e Nadia era davanti allo specchio, a farsi bella: quello sarebbe stato un giorno importante.
Studiò la sua immagine riflessa, pensando a quanto fosse cambiata e cresciuta negli ultimi sei anni: era il 1912 e lei, poco più che una bambina, sognava odorando mazzi di fiori di quello che era stato il suo grande amore, Giuliano Solari.
All'inizio il giovane conte si era solo divertito con lei, scommettendo con gli amici di allora - Lucia Negroni e Giovanni Castroni, all'epoca ancora vivi - che l'avrebbe sedotta entro l'estate; poi però una fitta corrispondenza epistolare e la comune esperienza al fronte - lui come soldato, lei come crocerossina - avevano portato il ragazzo a capire quanto tenesse alla figlia maggiore dell'amministratore delle terre della sua famiglia, nonostante appartenesse ad un'altra classe sociale e fosse ormai promessa in sposa.
Avevano progettato il loro matrimonio, mentre sull'Altopiano del Carso infuriava la guerra contro l'Impero austro-ungarico, fino a quando la disfatta di Caporetto non se l'era portato via insieme a molti altri poveri disgraziati.
Nadia pensava che non sarebbe mai stata più felice, fino a quando, pochi mesi prima, non aveva ricominciato ad avvicinarsi ad Oreste Belfiore, che una volta era stato il suo promesso sposo; quell'amore che non c'era era esploso tutto insieme, e proprio il ragazzo era atteso a Palazzo Solari, che la contessina Greta aveva lasciato in custodia ai Berardi prima di trasferirsi a Palazzo Giardini: di sotto gli ospiti attendevano che lei scendesse affinché Belfiore venisse a chiederle la sua mano.
Aveva sognato a lungo quel momento, il cuore le batteva a mille in petto.
All'improvviso qualcuno bussò: era sua madre Delia.
<< Ci siamo >> la avvertì.
<< Sono pronta! >> esclamò la ragazza, con la sicurezza accumulata con l'età.

                                    ***

Nel salone di Palazzo Solari c'erano tutti coloro che erano sopravvissuti alla guerra, alla spagnola, a morti accidentali o indotte; il matinèe organizzato dalla contessa Negroni, nell'ormai lontano 16 aprile del 1912 per commentare l'affondamento del Titanic sembrava appartenere ad un'altra vita: ciascuno di loro era cambiato, meno ingenuo e più disincantato; tutti erano perfettamente consapevoli che la Belle Époque era finita per sempre, che stava per cominciare una nuova era.
C'era Maria Ghisoni insieme al figlio Armando, alla moglie di lui Rosa, ai tre figli e al quarto in arrivo; c'erano Teresa e Daniele Mazzanti, con Greta Solari al seguito; c'erano Alessandro e Delia Berardi, pieni d'orgoglio; e poi c'era Oreste Belfiore al centro della stanza, pieno d'emozione.
Quando Nadia scese dalle scale, bellissima ed elegante nei suoi ventiquattro anni, tutti gli occhi furono puntati su di lei, ma al contrario di tanti anni prima, in cui si sarebbe vergognata a morte, stavolta sostenne quegli sguardi con aria fiera.
Non appena fu di fronte ad Oreste, sembrò come se il mondo intorno a loro sparisse, e nel salone ci fossero soltanto loro; Rosa e Armando si avvicinarono emozionati: la giovane donna consegnò al fratello una scatolina contenente l'anello che il conte Dario Belfiore consegnò alla loro madre Ornella.
<< Nadia Berardi, mi concederesti l'onore di diventare mia moglie? >> domandò il giovane conte.
Quelle parole colmarono di gioia il cuore della Berardi.
<< Sì, mille volte sì! >> esclamò, dopodiché lui la prese in braccio e la fece volteggiare.
Si baciarono tra i sorrisi e gli applausi dei presenti.

                                     ***

Roma, 14 febbraio 1919

La guerra finì, ma le conseguenze delle nuove ideologie nate in quei tre anni si diffusero anche in tempo di pace; la Rivoluzione Rossa era partita dalla Russia nel 1917 e si era diffusa a macchia d'olio in tutta Europa, dando vita ad un fenomeno limitato ma intenso, che venne definito "Biennio Rosso".
Nella sua camera a Palazzo Giardini, dove abitava insieme ai coniugi Mazzanti, Greta Solari leggeva romanzi e quotidiani, pensando all'uomo che, da un anno a quella parte, le era entrato nel cuore: Emilio.
Da quando era partito per riformare le sue proprietà agricole sul modello dei soviet russi, mettendo in pratica ciò che aveva imparato a San Pietroburgo, la ventiquattrenne aveva avuto modo di ripensare a tutte le volte in cui il conte Marconi le aveva manifestato il proprio interesse, che lei aveva sempre scambiato per semplice affetto, presa com'era dai suoi sentimenti per il principe Renato Giardini.
Ma poco prima della sua partenza l'aveva sentito particolarmente vicino, e aveva iniziato con lui una corrispondenza epistolare, che le aveva fatto crescere di giorno in giorno una grande nostalgia nei suoi confronti, e una voglia di rivederlo che la portava a contare i giorni.
Ogni accenno dell'opinione pubblica al comunismo la portava a pensare ad Emilio, inevitabilmente; tuttavia era passato ormai un anno da quando il ragazzo aveva lasciato Roma, e la giovane donna aveva quasi smesso di sperare in un suo ritorno.
Fino a quella mattina, in cui Teresa venne a bussare alla porta della sua stanza.
<< È tornato Emilio >> le comunicò, sorridendo.
Greta sorrise a sua volta, e seguì la contessa Mazzanti al piano di sotto.

                                     ***

Non appena se lo ritrovò davanti, non poté fare a meno di constatare quanto fosse cambiare: il suo volto rubicondo era ormai più scavato, da adulto; quella muscolatura che sei anni prima sembrava ingombrante, di troppo, lo rendeva agli occhi di lei più che prestante.
Gli immancabili occhiali, inoltre, gli davano un'aria intellettuale che tempo prima non l'avrebbe minimamente attratta: ma all'epoca era una bambina, oramai era una donna.
<< Emilio! Che grande piacere vedervi! >> esclamò, venendogli incontro e prendendogli le mani.
<< Se sapeste quanto vi... perché non ci diamo del tu? >> propose il ragazzo.
<< Hai ragione, ci conosciamo da moltissimo tempo... >> osservò la giovane.
<< Ho passato tutto il mio viaggio dell'ultimo anno a pensarti. Ogni giorno, ogni notte. E nella mia testa girava sempre la stessa domanda... >> confessò lui.
<< Quale domanda? >> fece lei sorridendo, anche se in cuor suo già la immaginava.
<< Io ti amo, ti amo da quando ti ho vista, nel salone di Palazzo Solari. Eri una bambina ad inizio secolo, e in quel 16 aprile del 1912 ti ho ritrovata donna. E non ho mai smesso, anche se tu avevi rivolto la tua attenzione altrove... >> proseguì l'uno, con un velo di malinconia che l'altra condivise: era un mondo ormai lontano, in cui la guerra non era prevista e tutti erano vivi.
<< Nell'ultimo anno ho capito di amarti anch'io. Ho avuto modo di ripensare a tutte le attenzioni che mi avevi rivolto, in questi anni. A tutte le premure che hai avuto nei miei confronti. Solo che non vedevo, non immaginavo, perché nella mia testa e nel mio cuore c'era solo Renato... >> dichiarò questa.
<< Adesso che ho la mia risposta posso formularvi la mia proposta... >> esordì Marconi, inginocchiandosi.
Teresa e Daniele osservavano la scena emozionati e commossi.
<< Contessina Greta Solari, vuoi diventare mia moglie? >> formulò, tirando fuori una scatolina con l'anello appartenuto a sua madre Emma Silvestri.
<< Sì... Sì, lo voglio! >> esclamò la Solari, con le lacrime agli occhi.
Emilio si alzò e la baciò, sotto gli sguardi felici dei presenti.
Greta sentì di essere finalmente felice, di aver trovato la pace dopo la guerra.

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