Capitolo 5 - Mortui non mordent (pt. 2)

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Rachele si sentì prendere il braccio in una morsa stretta. Tentò di divincolarsi quasi all'istante.

«Lasciami!» Provò ad alzarsi.

La bambina si mise in piedi e le le mise le piccole mani sulle spalle, con una forza sovrumana. Era inutile provare anche solo muoversi.

«SE NE SONO ANDATI, SE NE SONO ANDATI. SONO SOLA, QUI, SOLA. RIMANI CON ME, STAI CON ME, PER SEMPRE» rantolò parole così velocemente da farle girare la testa. Si sentiva frastornata e desiderava coprirsi le orecchie, sotterrare la testa nella terra pur di farle smettere di pulsare.

La flebile luce che fino ad allora aveva illuminato quell'angusto spazio aumentò, non era calda e di certo non era fuoco, ma quella creatura crebbe come una fiamma alimentata a benzina. Era terrificante, era uno spettro.

Rachele si girò guardando gli amici, inermi, e gli urlò contro.

«Presto, andate via!»

«Rachele!» gridò Mariam, ma i suoi occhi non la stavano più guardando. Atterrita e incapace di muoversi, respirava convulsamente mentre cercava di sottrarsi a quelle che non erano più mani ma tenaglie affusolate come il ghiaccio più tagliente.

«LA MIA MAMMA... IL MIO PAPÀ...» ripeteva gutturalmente lo spettro.

«Ti prego lasciami! Magari posso aiutarti a trovarli! Non piangerai più te lo prometto, ma ora calmati» le implorò Rachele, sperava di fare leva su quello che era il fattore scatenante. Era una bambina, almeno le era sembrato prima, si poteva aggirare in qualche modo.

«LORO NON CI SONO PIÙ. ERANO QUI E ORA NO.»

Continuò e lacrime gli rigarono il volto stravolto dalla mostruosità che era. Faceva male, sentiva solo questa sensazione la ragazza, ma quello che più la fece angosciare furono le sue guance bagnate. Non capiva, nemmeno pensò alla ragione di tale cosa.

Fu un attimo e sentì i pensieri farsi strani, malleabili e non suoi. Erano immagini sfocate eppure sicure, una cucina, una radio accesa che trasmetteva parole di distruzione e morti, una donna che si affrettava a spegnerla. Era giovane e indossava un abito anni 40', i lunghi capelli biondi e il sorriso che Rachele sembrò fosse rivolto a lei.

"Vieni, andiamo a giocare con le bambole."

Ora era in una cameretta, la donna non c'era ma si sentivano voci e urla oltre la porta. La visuale si alzò, era bassa rispetto all'altezza a cui era abituata la ragazza, e si mosse verso il rumore. Spiò dalla serratura e trattenne un respiro non suo nel vedere due uomini in uniforme.

Ci fu un cambio di scenario e Rachele si ritrovò nel suo salotto, sempre da quella strana vista abbassata. Erano i suoi pensieri o quelli della bambina? Riconobbe un uomo guardarla e girò fosse già presente nella sua memoria, ma con la testa così ingarbugliata e invasa dalla presenza sconosciuta non riuscì a riconoscerne le sembianze.

Un pianto le nacque nella gola perché in qualche modo il suo cuore reagì lo stesso, una spiacevole sensazione si fece largo nell'addome, era una solitudine dolorosa e insopportabile. Si trattenne dall'urlare.

«Tu rimarrai per sempre con me. Non sarò più sola» sentì dire.

Una palla di neve colpì il mostro in pieno volto e questo fece riprendere lucidità a Rachele. La presa sulle sue spalle si allentò e riuscì a vedere Mariam e Luca chinati a raccogliere grosse manciate di neve, le mani arrossate dal freddo.

L'amica ne tirò un'altra con una precisione tale da offuscare la vista dello spettro, a quanto pare per nulla incorporeo.

«Ora Rachele!» gridò lei e la giovane ragazza non se lo fece ripetere un'altra volta. Sentì la stretta indebolirsi, il mostro era troppo occupato a proteggersi dal fastidioso ghiaccio che continua a ricevere con forza da Luca. Scivolò via con velocità e corse a perdifiato verso i suoi amici.
Gli altri due continuarono ad attaccare.

«Ti sta bene! Mangia la mia neve, brutto figlio di puttana!» le urlò il ragazzo beffardamente.
Rachele, che aveva ancora davanti quei pensieri estranei, cercò di trattenerlo per un braccio.

«Fermo! Lei... Ho visto i suoi ricordi, non so, è arrabbiata ma perché è triste» provò a spiegargli priva di forze, non si reggeva e non sapeva se era sua la paura.

«E ti pare un buon motivo perché possa mangiarci?!»

«Non è colpa sua, ha bisogno di aiuto–»

Luca la ignorò e continuò quella lotta immersa nel bianco. Si sentirono strilli e urla finché la creatura non svanì in una delle stradine più lontane, indietreggiando spaventata nelle tenebre più profonde.

Ci fu silenzio. I tre respiravano affannosamente e non furono tanto sicuri di potersi sentire totalmente al sicuro. Rimasero immobili per non si sa quanto tempo ma nulla apparve, solo il lampione ad illuminarli in modo intermittente.

Rachele si era accasciata a terra inzuppando i jeans della poltiglia di neve rimasta. Non doveva neanche concentrarsi per sentire a gran volume i battiti cardiaci che la scuotevano, aveva un tamburo al posto del cuore. La sua giaceva lontano ma lei non avvertì nessun brivido, lo shock le aveva come ghiacciato i sensi. Guardò il punto in cui era sparita la bambina-spettro.

Fu Mariam la prima a parlare.

«Meglio andarsene prima che torni.»

Si guardò intorno e Rachele notò qualcosa per terra.

«Mariam, il tuo cellulare...» disse a bassa voce.

Era lì, lo schermo ormai inutilizzabile e scheggiato. La ragazza si avvicinò a raccoglierlo mentre Luca si mise le mani tra i capelli ridendo esasperato.

«Ecco, moriremo qui. In una stradina di Milano piena di mostri. Spero mi trovino almeno buono!» Sbatté debolmente la testa contro il palo della luce e continuò finché non si stancò completamente.

Rachele si alzò e si pulì i vestiti. Un po' titubante andò a raccogliere la sua giacca e si avvicinò agli amici.

«Anche volendo il mio non ha campo. Magari se proviamo uscire da questa strada e andare in una piazza funziona,» fece lei. Come stesse mantenendo la calma non se ne capacitava, ma accantonò tali ragionamenti concentrandosi sul problema principale.

«E come?» replicò stanca Mariam.

«Miao.»

Si girarono tutti e tre straniti. Dall'altro lato della via un gatto dagli occhi smeraldo li guardava tranquillamente, seduto con la coda che si muoveva lenta.

«Un'altro essere malvagio! Via via!» scattò Luca e si nascose dietro all'alta Mariam.

«Ma è il micio del negozio!» Rachele esclamò con ritrovata allegria. Quello miagolò ancora e si avvicinò alla giovane strusciandosi sui suoi jeans. Accettò volentieri, questa volta, le carezze sul soffice pelo.

«Come se fosse meglio, è il gattaccio di quel mezzo matto. Non avvicinarti, si metterà a raccontarti assurdità pure lui.»

«Ma taci, i gatti non parlano.» La riccia lo spintonò.

Rachele si girò a guardare quel muso felino e aspettò qualche secondo. Lui girò la testa confuso.

«Okay, ci ho sperato un attimo. Sai per caso come farci uscire da qui?»

Elia si allontanò e zampettò via in direzione opposta alla loro. Prima che potesse sparire nel buio privo di lampioni si fermò e guardò dritto negli occhi l'adolescente.

Lei ricambiò lo sguardo e gli venne dietro.

«Meraviglioso, ora la nostra amica parla con i gatti! Finirà mai questa serata?» fece sarcastico l'altro.

«Zitto e seguiamolo, Luca. Dai che forse ce ne usciamo da qui.» E riprese a camminare concentrata sull'animale. Ovviamente anche lei era stranita dalla situazione ma di certo non aveva intenzione di rimanere in quel buco tetro. Voleva andarsene e sfuggire alla miriade di agitati pensieri che facevano capolino nella sua mente.

Mariam sospirò e la seguì mentre Luca camminava dietro restio. Come un mantra continuava a ripetersi di non morire e si lasciò alle spalle quegli edifici abbandonati.

Figli della Luna - Il mondo nascostoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora