Capitolo 16 - Homo quisque faber ipse fortunae sua

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"Di ciò che posso essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, 

ma nulla neppure io stesso." 

Luigi Pirandello


Il vapore si levava dalle acque dell'Iseo e la luce della giovane luna ne illuminava le sponde. Più si riempivano di aria i polmoni più questi si appesantivano dell'umidità che la riempiva. Rachele e i due ragazzi ebbero la sensazione di stare annegando con quel loro respiro convulso.

Continuarono a tenere gli occhi fissi sulla struttura in pietra davanti a loro, man mano che la barca ci si avvicinava rombando i loro cuori ripresero una parvenza di ritmo normale e l'adrenalina lasciò spazio alla più grande delle stanchezze. Cercarono di non voltarsi, il solo pensiero di scorgere delle squame verdastre sulla superficie del lago aveva il potere di paralizzare i loro colli.

«È sveglio?» chiese flebilmente Rachele, le nocche pallide sul timone e lo sguardo che evitava il viso di Elia. Per tutta la durata del viaggio era rimasto incosciente e da una parte la ragazza ne era quasi grata, il senso di colpa che la stava divorando era già abbastanza. Non aveva idea di come scusarsi e l'ultima cosa che voleva erano le sue iridi verdi piene di odio che la fissavano.

«Si è preso un bello spavento» fece Luca, tentando un sorriso invano. «Non potevi immaginarlo, Ra. È inutile che ti trastulli, finirai col fegato nero.»

«Sono stata io a mettervi in questa situazione, sapevo che la mia era un'idea folle e me ne sono fregata» gracchiò Rachele bloccando un principio di grido. Era da mezz'ora che continuava a maledirsi e da mezz'ora che la mano rigida attorno al timore le faceva male. Dovevano arrivare al più presto da questa Morgana e mettere più distanza possibile tra loro e il drago.

«Certo che si tratta bene questa lady, guarda che castello» esordì l'amico indicando con il dito il complesso di torrette che si ergeva dall'isola.

Il terreno circondato dall'acqua era di modeste dimensioni, interamente occupato dalla struttura del castello in pietra chiarissima. Di stile neogotico, era affiancato da numerose conifere e provvisto di un porticciolo verso cui Rachele diresse la barca. Col buio che continuava a scendere non poté osservare più tanto la piccola bellezza dell'architettura, anzi, si domandò più e più volte se la proprietà privata non fosse totalmente disabitata in quel periodo dell'anno.

«Aiutami a far scendere Elia» disse al corvino. Reggere quel ragazzo più alto di lei di una testa non era affatto semplice e soltanto grazie alle esili braccia di Luca riuscirono a trascinarlo oltre il muretto del porto.

Ormeggiò la barcarola facendo un doppio nodo stretto attorno a uno dei due pali, ci mancava soltanto che questa venisse trasportata dalla corrente lasciandoli sull'isolotto nel bel mezzo del nulla.

Rachele si avvicinò con cautela al biondo e ne sfiorò il polso. Aveva ripreso un colorito migliore e il battito non era più così tanto accelerato. Doveva scuoterlo o lasciarlo riposare?

«Sicura che Er Vecio ci abbia visto giusto e che non abbia sbagliato isola? Mi pare un po' deserto come posto» ironizzò Luca per nascondere il nervosismo. Si strinse nel suo giubbotto viola ancora umido dall'accaduto.

«Almeno abbiamo i piedi fissi sulla terra ferma» disse la giovane ripensando al discorso di qualche ora prima con Elia. «Se questa Morgana non si fa viva giuro che–»

Si sentì un fruscio dall'alto di un muretto e la testa Rachele scattò come una molla, allarmata. Nella penombra della luce lunare riconobbe una chioma riccia sovrastarla, almeno da un metro di distanza. Indietreggiò velocemente, portandosi il giovane incosciente dietro la schiena e il braccio alzato a mo' di arma.

Figli della Luna - Il mondo nascostoWhere stories live. Discover now