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È difficile abbassare la testa, è difficile dover dire sempre si, è difficile accettare.
Così difficile, che io non ci sono riuscita neppure una volta.
Tiro un pugno dopo l'altro contro il sacco da boxe, non dando conto al dolore che mi provoca lo sforzo dei colpi e lo strofinio delle nocche contro la pelle fredda del punching bag.
Il sudore mi cola sul collo, finendo nella scollatura del top da allenamento, mentre la fasciatura che porto intorno alle costole si impregna, sono passati quattro giorni da quando l'infermiera mi ha pregato di tenerla ben stretta e medicarmi ogni sera, nonostante il tempo passi continua a farmi un male cane.
- Stai cercando di ucciderti?- la donna delle pulizie sul ciglio della porta mi spaventa a tal punto da farmi perdere l'attenzione dal sacco, che prontamente mi colpisce sullo zigomo, mandandomi dritta sul pavimento.
- C'è già qualcuno che ci pensa per me Ambeta- le rispondo alzandomi a fatica.
Avanza verso di me con la scopa tra le mani, passandola qua e là, borbottando in russo.
- Non voglio che tu ti faccia male Megan, io...-
- Non puoi chiamarmi con il mio vero nome, sai quali sono le regole, chi delle due cerca di farsi uccidere?- La interrompo, sgridandola
- Tenebra, troppi ragazzi sono morti là fuori, non voglio che tu ti faccia ammazzare per la tua testa dura- il magone le sala in gola, mentre stringe sul petto il ciondolo che porta sempre con sé.
- Ambeta, io non morirò, saranno loro a morire non appena avrò l'occasione di uscire da qui- la consolo.
Lei è nella struttura dall'inizio dell'apocalisse, pulisce e come a tante altre le viene dato l'alloggio e cibo a sufficienza per sopravvivere.
Ha visto morire piano piano molti di quelli che qui dentro venivano addestrati, alcuni per gli overseas, altri per suicidio.
Mi ha aiutata quando mi sono messa nei guai la prima volta, facendomi da scudo contro il mio aggressore sopra il tappetino. Quel mese il suo stipendio è stato dimezzato ma non le è mai importato, questo mi ha fatto comprendere quanto cuore avesse questa donna.

Mi reco in sala comune, zoppicando un po' con un'asciugamani sulle spalle. Dovrebbe essere il nostro giorno libero questo, ma sono troppo debole per fermarmi, devo diventare più forte, per me stessa per Bibi e per mia madre, là fuori da qualche parte.
Alcuni di noi sono seduti per terra, altri sono in piedi a lottare tra loro, altri ancora fuori in giardino per prendere un po' d'aria.
Ne approfitto per andare alle docce e ripulirmi , mi sento appiccicosa e puzzolente.
Pian piano mi tolgo le garze dal corpo, spogliandomi degli indumenti e della coda che mi trattiene i lunghi capelli.
Mentre mi insapono non faccio altro che pensare alle parole di Hunter, ci faranno partire presto, nonostante la nostra palese impreparazione, o almeno alcuni di noi.
Lascio i capelli bagnati ricadermi sulle spalle ed indosso gli abiti per l'allenamento, intenta a mettere qualcosa nello stomaco per poi ricominciare.
La mensa si trova nel piano di mezzo, è un corridoio molto affollato, sia per la presenza della cucina che per quella di una stanza, molto particolare. Quest'ultima esiste per appagare la libido, è una camera sempre piena, di cui ovviamente io non conosco neppure il colore, ma la curiosità ogni tanto mi spinge a passarci davanti, sperando di scorgere qualcosa.
- Fame?- Bibi mi si affianca con un panino tra le mani.
-Da impazzire- mi posiziono in fila per i maccheroni al formaggio.
- Ti sei medicata? Dov'è la garza?- mi spinge un dito contro una delle costole, facendomi saltare dal dolore.
- Cazzo Barbie, non toccare- sibilo rabbiosa porgendo il mio piatto alla cuoca con la retina in testa che prende un mestolo di preparato e ce lo mette dentro.
Bibi prende il piatto dalle mani della signora di fronte a noi prima che lo possa fare io, mettendolo lontano da me.
- Se non ti medichi, non mangi- il suo sguardo e duro e preoccupato, potrei riprendere il pasto con facilità se volessi, ma so che lo fa solo per me.
Sbuffo annoiata dandole le spalle, e con lo stomaco che brontola spalanco le porte della sala con un calcio.
- Che palle- impreco scendendo le scale bianche con qualche ostacolo, ragazzi che vanno nel lato apposto e calcinacci scivolosi.
La strada per la sala di medicazione è piena di porte a destra e sinistra, una piccola biblioteca e qualche finestra.
- Abbiamo un piano d'azione- sento parlare qualcuno dallo studio poco più dietro.
Mi fermo, prestando attenzione a quelle parole.
- Attaccheremo quando meno se lo aspettano, di notte. Ci mimetizzeremo tra loro- la conversazione sembra farsi sempre più interessante.
Indietreggio ed accosto l'orecchio alla porta, con delicatezza.
Man mano che il discorso si porta avanti, mi rendo conto che a parlare è Sullivan.
-Io li ho visti, sono umani, umani strani- vaneggia - Ci ho addirittura conversato, possiamo addentrarci- che sia diventato pazzo?
- Se vogliamo che l'azione sia infallibile, dobbiamo liberarci degli elementi deboli e di disturbo- continua imperterrito, e il mio cuore accelera come se stessi correndo una maratona.
-Mandiamoli a casa, non possiamo ucciderli, non è corretto, e neppure umano- interviene una seconda voce fredda e distaccata.
- Preferisci morire tu per loro William?- i passi del generale si fanno sempre più vicini, mi abbasso leggermente spiando dal buco della chiave.
Albert è faccia a faccia con il sergente, sollevato sulle punte per l'esagerata altezza di William.
- La prima che ammazzeremo, sarà Tenebra-gli intima con la voce contorta come la sua anima, le gambe cedono, andando a sbattere contro la porta in legno, il fiato sembra non raggiungere mai i polmoni.
Mi sollevo più veloce che mai, fuggendo in infermeria e serrandomi lì dentro.
Arretro compulsivamente, sbattendo contro il lettino.
- Non può essere- sussurro a me stessa con le mani che tremano.
- Tenebra cara- la dottoressa esce dalla saletta dei medicinali, e abbassandosi gli occhiali sulla punta del naso mi scruta con un sopracciglio sollevato -Sembra che tu abbia visto un fantasma-
-Peggio Dorothy, molto peggio- cerco di parlare senza fiato, come se ancora dovessi imparare tutto l'alfabeto.
-Suvvia tesoro, siediti, guarda come sei conciata- indica il mio corpo livido.
Le do retta, salendo sul lettino, piano, mantenendo lo sguardo sulla porta.
-Dorothy- la richiamo mentre cerca la fasciatura giusta da attorcigliarmi al corpo.
- Dimmi tesoro- si volta verso di me, posando una mano sul fianco grassoccio.
- Quanti sono i ragazzi morti questo mese?- le domando guardandola dritta negli occhi.
Rimane accigliata, come se le avessi tirato uno schiaffo. Avendo a che fare con la salute dei ragazzi, e possedendo le loro schede mediche, chi meglio di lei conosce tutti i morti del Closet.
- Perché mi poni una domanda simile Tenebra?- la sua voce si fa piccola, striminzita oserei dire.
- Dottoressa Dorothy, quanti ragazzi sono morti?- le dita si stringono contro la gomma sotto di me.
La sua testa sembra perdersi nel vuoto mentre afferma - 2736-
Deglutisco, con la pelle che si accappona.
-Quanti per gli overseas?- le rispondo con sfacciataggine.
- Cosa vuoi dire?- si tende, riempiendo il petto di ossigeno.
La porta si spalanca mostrando la figura perfetta da mettere a disagio del sergente Will.
Il mio cervello si riempie di scenari in cui mi infilza i coltelli che porta in vita dritti nel petto, sono spacciata, e a detta del suo sguardo su di me, si è ben accorto del mio timore.
- William caro- gli si avvicina l'infermiera deviando totalmente il nostro discorso.
Lui sorride amaliatore, mostrando una fossetta sulla guancia sinistra, mentre con le mani le prende fasce e disinfettante dalle dita strette.
-Ciao Dorothy...- posa nuovamente gli occhi affascinanti sulla mia figura, piccole scosse mi stuzzicano il cuore.
- Ci penso io alla ragazza, vai pure a prendere un caffè- invita la signora ad uscire. È la fine. Uccisa da un Dio.

LIGHT IN THE STORMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora