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L'acqua, l'acqua che scorre sulla carne lacerata e sporca della mia pelle, che mi accarezza le labbra ed il collo, mi bacia e mi delinea come un dipinto.
Una sensazione favolosa, il primo momento di pace dopo tanto, tanto tempo, infatti non penso durerà per molto.
Il mio unico pensiero ora, è andare alla ricerca di Bibi. Non sarò realmente tranquilla fin quando non la vedrò.
Esco dalla doccia con un grande asciugamano bianco legato al petto. Le piastrelle rossicce sono ruvide sotto i piedi mentre mi avvicino al lavandino. Noto con sorpresa la mia figura. Mi sembra di non specchiarmi da una vita, forse per mancanza di tempo, o per la paura di farlo.
È come se ogni lineamento puro e docile della bambina che ero sia scomparso, la bocca sempre imbronciata e lo sguardo sottile e predatore, una cicatrice dal colore più chiaro mi taglia il sopracciglio scuro. Nonostante sia un segnaccio, quasi mi piace. Ci passo sopra un polpastrello, sentendo la pelle più sensibile in quel punto.
Se mi vedesse mia madre, chissà se mi riconoscerebbe.
Lascio i capelli bagnati e infilo la tuta da combattimento, pronta per allenarmi, c'è gente ovunque, ragazzi di tutte le età in preda a fare ognuno una cosa diversa. Ogni tanto becco alcuni ad osservarmi curiosi, altri maschi invece mi provocano con lo sguardo aspettando una mia possibile reazione.
Ma i miei stivali puntano da tutt'altra parte.
- Ehi tu!- qualcuno urla alle mie spalle.
Mi volto sollevando un sopracciglio.
Una donna anziana, con i capelli bianchi legati in uno chignon, ed un vestito azzurro che le arriva alle caviglie sottili.
Le sue mani sono giunte all'altezza dello stomaco, mi ricorda tanto una donna d'altri tempi, e lo è.
- Asciuga quei capelli, rischi di far scivolare qualcuno, stai bagnando il pavimento!- mi rimprovera.
Mi scuso, mortificata e sbalordita. Ma dove sono finita, e soprattutto dove diavolo ho vissuto fin ora, ho la certezza ad oggi che il Closet fosse una vera e propria topaia.
Ma è ancor più affascinante, come nonostante siamo in piena guerra intergalattica, c'è chi pensa al pavimento.
-Ps ps- un sibilio. Volto la testa verso quel suono, altre una porta in legno scuro e macchiato, che ancora una volta mi richiama -Psss-
Non appena mi avvicino, due braccia mi tirano dentro, chiudendomici. La stanza in questione sembra essere a tutti gli effetti una piccola biblioteca, grandi scaffali la circondano, e al centro della stanza si trova un bel divano colore cachi posizionato di fronte ad un grande camino pieno di cenere.
Mi destreggio in posizione d'attacco, ma non appena la figura si volta, riconosco la mia amica.
- Barbie- la presa sul cuore sembra mollare, lasciandomi respirare finalmente.
La tiro a me, abbracciandola con forza.
- Avevo paura ti avessero fatto del male- ammetto, gli occhi si riempiono di lacrime che non scendono, non cedono.
- Ti ho cercata dappertutto Tenebra- sento le sue dita stropicciarmi la maglietta.
-Devono averci messe in due lati del dormitorio diversi- mi stacco per guardarla negli occhioni grandi.
- Ten ho sentito alcuni primi parlare della guerra e ...-
Un urlo ci distrae dal nostro discorso, un urlo di dolore, sento la pelle stridere dall'adrenalina.
Usciamo da quella camera, in fretta.
Non appena apro la porta riconosco la figura di Ambeta, in mano porta una scopa come al solito. Ha gli occhi serrati, ed il viso solcato da piccole rughe basso verso le scarpe rovinate.
Un uomo le tiene le spalle, indubbiamente un Generale, assai più grande di noi ragazzi.
- Ti sembra questo il modo di pulire un pavimento, vecchia- la scuote, rimproverandola ad alta voce.
I secondi circondano quella scena. Molti sono usciti dalla mensa, altri ancora hanno interrotto l'addestramento.
Non ho mai avuto grossi problemi nella vita, avevo una bella famiglia, ero una studentessa formidabile a scuola, sempre gentile con tutti e a completa disposizione.
Un solo difetto imprime il mio carattere di sana pianta: La gestione della rabbia.
Prima ancora che il mio cervello possa filtrare pensieri e gesti, le mie gambe partono nella loro direzione, spintonando tutti quelli che trovo sul mio cammino.
- Tenebra no!- Barbie mi corre dietro affannata, invano.
Tolgo la mano di quel colosso dalla spalla docile di Ambeta, che prontamente tiro dietro di me.
- Prenditela con qualcuno della tua stazza- mi metto sulle punte, in modo che mio viso sia pari al suo.
Le sue narici si allargano così come gli occhi, vedo con la coda dell'occhio Bibi correre nella direzione opposta, se la sta svignando?
L'uomo mi acchiappa il polso violentemente, strappandomi un lamento.
- Chi ti credi di essere, piccola...- l'ennesima frase non finita, perché prima che possa farlo, Sullivan mi prende il viso con una mano, stringendomi le guance.
- Ancora tu!- mi spinge costringendo me ad indietreggiare, ed Ambeta a spostarsi in mezzo alla folla che silenziosamente assiste.
Le scapole toccano il muro ruvido. Poi improvvisamente le sue dita si spostano dietro il collo per portarmi via di lì.
- Un altro passo e ne risponderete a me- William attraversa il corridoio a grandi passi e con furia mi strattona da un braccio, avvicinandomi al suo addome coperto da una maglia umida, come se fosse appena uscito dalla doccia, ed i suoi capelli fradici come sempre lo confermano.
Alle sue spalle Barbie con le guance piene di lacrime.
- William- Albert lo squadra con disgusto e provocazione, agitato mentre aggiusta la cinta scura che gli sorregge i pantaloni. - Ti scopi la ribelle dei Secondi? Mi aspettavo qualche salto di qualità, nipote- sa bene di averla detta grossa.
Il pubblico intorno riempie l'aria di versi sbalorditi.
La mia bocca si spalanca, non so per cosa sentirmi più scioccata.
Il sergente ringhia da sopra la mi testa, portandomi via di lì in tutta fretta, e poi su per le scale. Questo corridoio rispetto a quello di prima, è assai più curato, e profuma di buono.
Prende una chiave dalla tasca del pantalone mimetico, tenendomi ancora stretta dal braccio.
Apre la porta e mi lancia all'interno.
- Dio, posso lasciarti da sola per mezzo secondo?- entra nella camera da letto, chiudendosi il grosso battente alle spalle.
- Nipote?- è l'unica cosa che riesco a dire, in completo shock.
Si strofina il volto con le mani, fermandosi un solo secondo ad osservarmi, per poi mettersi a camminare su è giù ininterrottamente.
- Sono il nipote di Albert Sullivan- mi si mozza nuovamente l'aria nella trachea, al ricordo della foto di un bambino sulla scrivania di quella bestia. Era William.
Stessi occhi verdi. Gli riconoscerei tra mille.
- Sei il nipote di quell'animale?- Mi sfugge una risata isterica mentre mi tiro leggermente i capelli dalla nuca.
-E perché dovrebbero risponderne a te, chi sei tu?- trovo il coraggio di domandare, seduta sulle candide lenzuola del suo letto.
Sospira, chiudendo i bellissimi occhi - Mio padre è il capo delle legioni Americane Tenebra- mi prenda un colpo.
Non posso fare altro che rimanere in silenzio, totale silenzio. E pensare.
Le pareti della stanza sono rosse, il letto ha una testata lavorata in ghirigori dello stesso legno della porta. Un piccolo scalino porta al bagno, che non ho il piacere di scorgere. Qui e là ci sono abiti sparsi nonostante l'armadio antistante al letto sia bello grande. Sul pavimento è posizionato un minifrigo malconcio, da cui William prende una bottiglietta d'acqua che ingurgita tutto d'un fiato, mettendo in bella vista il pomo d'Adamo e i lineamenti pronunciati.
Quando riposa lo sguardo arrabbiato su di me, da dietro i ciuffi scuri scorgo qualcosa, un'emozione che non so riconoscere.
- Verrai via con me- parla poco dopo infilando una giacca nera.
- Cosa?- Mi alzo come se avessi una molla sotto il sedere.
- Non posso lasciarti qui- corruccia la fronte arrabbiata, facendo sfiorare le nostre scarpe.
- Venire dove William? Mi avevi lasciata senza problemi qualche tempo fa- lo provoco ancora arrabbiata e tremendamente ferita.
- Ero venuto qui, al nord per organizzare piani d'attacco, dovevo restare via e sono tornato.- si avvicina ancora di più, sento il fiato accarezzarmi il naso.
- Perché sei tornato?- gli urlo contro.
- Per te, maledetta ragazzina!- alza la voce, stringendo i pugni lungo il corpo.
Sento il petto battere, palpitare, e forti emozioni stritolarmi lo stomaco.
Deglutisco. La sua voce roca è come un richiamo per il mio corpo.
È stato così autoritario, che senza neppure accorgermene mi sono riseduta, sul piumone che profuma di ogni sua fragranza.

LIGHT IN THE STORMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora