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Ti sei fusa il cervello per caso?- mi rimprovera mia madre dopo esser tornata a casa con un braccio rotto.
Una piccola rissa per proteggere una mia compagnetta di classe alle elementari.
Allo stesso modo Barbie mi sgridava in quell'istante, con l'asciugamani stretto al petto.
Dopo l'allenamento ho preso la decisione più sbagliata di sempre, entrate nello studio di Albert Sullivan.
- sai bene che non mi lascerò fermare- per una volta sono riuscita ad asciugare i capelli, che lego in una coda scomposta come la mia testa.
-E se ti sbagliassi, e se fossero davvero gli overseas la causa delle morti in questi giorni?- incrocia le braccia.
-Vuoi scherzare vero?- ridacchio come se la mia amica stesse raccontando una barzelletta.
Nonostante mi circondasse solo dolore, combattimento, pesantezza di un mondo in cui mi sento inadeguata, il mio cervello aveva risparmiato un angolino per William e i suoi occhi verdi. William e lo sguardo che mi aveva lanciato qualche giorno prima. William, William e William. Mi sentivo come un uccellino caduto dal nido, anche se per non molto, il sergente mi aveva fatta sentire al sicuro, mi aveva fatto credere di poter esser molto più di ciò che pensavo.
Mi aveva fatta a pezzi mille volte su quel tappetino, ma psicologicamente mi ero sollevata dal terreno altre duemila.
-Tenebra- Barbie mi ferma sul ciglio della porta -Non farlo- mi prega, la voce le si rompe e si porta con sé un pezzo di cuore, ma decido di lanciarmi comunque in quell'impresa.
Anche oggi, la giornata è fredda, umida, e minaccia temporale.
I corridoi sono come al solito pieni di secondi, alcuni usciti dalla mensa, altri dalla sala allenamento, altri ancora in tuta mimetica.
Mi immetto nello sciame con nonchalance decisa a raggiungere la tana del mostro.
La porta è proprio lì, chiusa, all'interno sembra non esserci nessuno eppure, ho il timore di abbassare la maniglia.
Poso le mani sul ferro freddo, e  solo quando la porta si spalanca, mi rendo conto del grosso guaio in cui mi sono infilata, mi richiudo il battente alle spalle ed ispezione la stanza a fondo.
Li studi sembrano essere tutti uguali, ma di sicuro non dimentico l'odore di William quando sono entrata nel suo.
Giro e rigiro per la grossa stanza, passando le dita sui libri.
Una fotografia attira la mia attenzione
-La bestia ha addirittura dei figli- sussurro tra me e me.
Quando finalmente mi rendo conto di non essere qui per una gita scolastica, rovisto tra i documenti.
Cartelline, tantissime cartelline e fogli.
Tra loro il foglio dei nominati con il prossimo blocco, il mio nome è ben evidenziato. Solo poco dopo mi rendo conto di un particolare macabro.
Tra i nomi scritti, c'è quello di Hunter, che non era stato chiamato per la partenza. Piccoli pezzi di un puzzle che prende forma.
- È la lista dei secondi che devono morire- quell'informazione mi devasta. Sono i primi che ci stanno dimezzando, sono loro che hanno ucciso tutti quei ragazzi. E io dovevo essere tra quelli.
- Mi fa piacere che tu sia qui- un pugno nello stomaco, le gambe mi tremano, le mani non riescono a star ferme, alzo gli occhi verso la figura che mi ha rivolto la parola. Albert è qui.
I miei sensi sono tutti sull'attenti, sembra passare un'infinità di momenti, un'infinità di silenzi, fino a quando l'uomo, non si chiude la grande porta alle spalle.
-Sai Megan...- sentir dire il mio vero nome da quella boccaccia mi istiga a stringere le nocche contro la carta che ho nei palmi. Abbassa lo sguardo, da ben pensatore, e aggira il tavolo con calma, ed io con il sangue che pulsa nelle tempie  sto bene attenta a camminare nel lato opposto, silenziosa. -...Ti osservo da così tanto tempo, che mi sembra di conoscerti da tutta la vita- ride glacialmente - Sei stata una spina nel fianco fino ad ora, capisci bene che per me toglierti di mezzo, sarebbe la più grande...- inspira a denti stretti, mostrandomi la sua vera natura, il serpente -...delle conquiste- punta gli occhi nei miei - Sarebbe un onore per me, farti fuori con le mie stesse mani- continuamo entrambi a girare intorno al tavolo - Gli elementi di disturbo come te, e per di più deboli, devono essere eliminati, siamo in guerra. Comprendi Megan?-
Un ghigno incosciente si impadronisce delle mie labbra -Un giorno Albert, forse- lo istigo.
Con scatto felino si lancia oltre l'orlo della scrivania, con l'intento di acchiapparmi, ma sono più veloce e riesco a raggiungere la lampada in porcellana che si stacca dalla presa e lo colpisce alla nuca.
Un forte tremore percuote l'istituto, barcollo per poi prendere consapevolezza. Un terremoto. Spinta dall'istinto di sopravvivenza esco nell'immediato dalla stanza e dall'edificio.
La pioggia batte forte, non sono l'unica ad essersi recata fuori, all'aria gelida. I capelli mi si appiccicano alla fronte e alle guance, la maglietta diventa tutt'uno con la mia pelle, un altro tremore batte con forza sul terreno e quest'ultimo si spalanca, aprendosi in una voragine.
I ragazzi scappano da un lato e dall'altro,  ancora una volta sento la morte arrampicarsi sulle mie spalle gracili, la guardo in faccia, mi sorride e poi due braccia mi sollevano da terra, portandomi in salvo, lontano dalle urla.
Sento il marmo freddo del Closet spingermi contro le scapole, ed un respiro caldo soffiarmi contro le labbra.
Apro gli occhi impaurita, William è qui, davanti a me. Lo sguardo assottigliato e selvatico, fisso nel mio, leggermente coperto dai ciuffi mandidi d'acqua fredda, mi mette a disagio e sento l'irresistibile voglia di coprirmi il seno bagnato e messo in mostra dalla canottiera zuppa. Le sue mani sono salde ai lati della mia testa, la maglietta verde militare fradicia mostra con chiarezza la forma dei muscoli delineati da Michelangelo. Le labbra carnose e viola dal freddo leggermente socchiuse, che la morte forse mi abbia presa veramente? E questo sia solo un angelo, un angelo malizioso di quelli che ti prendono il cuore e creano piccole scosse emozionali in tutto il corpo.
-Stai bene ragazzina?- la voce gutturale pompa nelle orecchie come musica.
-Affatto- sussurro -Sapevi che stanno cercando di uccidermi, e sei andato via- nonostante io non sia nessuno, per lui, mi sento in diritto di lamentarmi per la sua assenza. Come se fossimo qualcosa. Qualcosa di importante.
Ringhia debolmente serrando gli occhi -Non ti ho abbandonata Tenebra- il suo pollice mi sfiora la guancia, quando riapre le palpebre nelle pupille intravedo pentimento.
-Lo hai fatto- il magone mi stimola un gran pianto, dovuto a tutto quello che è successo in questi giorni, eppure mi trattengo.
Mi acchiappa un polso e corre lontano dal Closet, che piano piano si sgretola, lasciandoci senza una casa. Non era il massimo dell'accoglienza, ma era quel poco che ci rimaneva di normalità.
Quando finalmente mi riprendo dallo shock, un solo nome si fa strada dentro di me.
-Barbie!- sgancio la presa del sergente e spintono chiunque si immetta nel mio cammino, primi e secondi.
Urlo e sbraito, timorosa.
-Tenebra!- finalmente la vedo, un rivolo di sangue le scende sul collo, ma è lì e sta bene. Le corro incontro, e l'abbraccio tenendola stretta a me come l'unica cosa che mi rimane al mondo, e lo è.

LIGHT IN THE STORMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora