Capitolo 11:

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ESME:
I giorni passano, mi sento terribilmente triste e sola.
La mia vita non ha più un significato o uno scopo, ma è diventata una serie di giorni appiccicati l'uno all'altro che cerco di riempire come meglio posso.
In questo momento mi trovo nel cuore della casa, in sala.
Ho quasi imparato ad adeguarmi al loro stile di vita, eppure tutto questo lusso mi lascia sempre a bocca aperta.
Vi sono statue, mobili e quadri d'oro. Persino il divano che non dovrebbe essere altro che una comodità, è rigido e fatto di oro puro.
Questa gente vive come dei Re.
Sistemo il vestito in tulle bianco che la sarta mi ha cucito proprio ieri e tento di abbassarlo il più possibile, è stretto e corto.
Jonatan ha voluto a tutti i costi comprarmi vestiti, profumi e addirittura chiamare una donna che mi cucisse vestiti su misura.
Lui non lo capisce ma non è questo ciò che voglio.
Solo vivere felice, lontano da lui e da tutta questa vita marcia, con mio fratello e mio figlio.
Perché per quanto finga di star bene, di aver accettato la mia sorte, questa vita non mi appartiene.
"Signorina Leticia cosa ci fa sveglia a quest'ora del mattino?" Giulia, la donna di servizio di questa casa fa capolino davanti a me, pulendo le mani sporche di farina con un panno verde.
È una signora anziana molto dolce e simpatica.
"Buongiorno Giulia, chiamami pure per nome, sono sveglia perché non riesco più a dormire."
"Oh.. d'accordo allora vieni con me. Ti faccio assaggiare questo buonissimo dolce che ho appena preparato. Si chiama Trilece, è un dolce tipico albanese, piace molto al signor Jonatan."
Annuisco seguendola in cucina.
Un buon odorino si propaga in tutta la stanza facendomi venire l'acquolina in bocca.
Ha un ottimo aspetto.
"È molto morbido." M'informa soddisfatta del suo lavoro.
Afferro la forchetta e ne assaggio una piccola quantità.
Sbarro gli occhi.
"Santo cielo.. è buonissimo."
"Tutto ciò che cucino io è buonissimo." Giulia mi strizza l'occhiolino e azzardo ad addentarne un altro piccolo pezzo.
Sa di caramello.
"Buongiorno ragazze." Alle nostre spalle giunge  Eva, moglie di Ledan, il fratello maggiore di Jonatan.
I suoi capelli biondi cenere oggi sono mossi e legati a metà da un fermaglio. Indossa un abito nero molto lungo e stretto, abbinato a un paio di tacchi alti.
È una donna bellissima ed elegante, ho avuto modo di conoscerla qualche giorno fa.
Mi è da subito piaciuta, abbiamo stretto amicizia. Occupiamo insieme la maggior parte del tempo, o meglio, quando suo marito non è in casa.
"Posso aggiungermi anche io?"
Sorrido porgendole una forchetta pulita e lei si avvicina, mostrando il suo metro e venti di gambe.
"Siamo sole in casa donne." Pronuncia portando le mani sui fianchi.
Questa non è una novità.
È passata una settimana e mezza da quando ho messo piede in questa villa e Jonatan non si è mai fatto vedere, se non la notte, quando apre la porta della mia camera per assicurarsi che io ci sia.
Fingo di dormire ma sento ogni singolo rumore che fa.
Forse teme che possa fuggire, e lo farei volentieri se questo maledetto castello non fosse circondato da uomini armati fino al collo e da telecamere.
I primi giorni ho studiato ogni possibile uscita, avevo organizzato un piano, ma equivaleva a sotterrarmi sotto terra con le mie stesse mani, così ci ho rinunciato.
Lentamente impari ad accettare ciò che il destino ti ha riservato. Con malinconia, ma impari.
"Che ne dite di rilassarci in piscina?" Eva prende parola.
"Oggi mio figlio è con suo padre. Giornata libera." Continua.
La signora Giulia inizia a scuotere la testa mentre io finisco tutto il dolce senza nemmeno rendermene conto.
"Avanti Giulia non c'è nessuno in casa!" Insiste Eva.
All'improvviso mi si accende una lucina in testa. Alzo la testa di scatto.
Fisso le ragazze e sorrido.
"Qualcuna di voi ha un telefono a portata di mano?"
"No Esme, a noi donne è vietato usare la tecnologia."
"Per quale motivo Eva?!"
"Per sicurezza."
Sospiro abbattuta.
Volevo provare a contattare mio fratello, il mio telefono non so che fine abbia fatto e sono giorni che non ho uno straccio di sua notizia.
"Ma nello studio di Jonatan c'è né uno."
Il mio sorriso si allarga.
"Andiamo, sbrighiamoci!"
"È chiusa a chiave! Non penserai mica che lui lasci libero accesso a tutti?"
"Credi davvero che non riesca a scassinare una serratura Eva?"
"No ragazze! Conosco il signor Jonatan e vi assicuro che.."
"Giulia andrà tutto bene. Prendilo come un gesto di amore. Voglio chiamare mio fratello." Interrompo la signora che sospira grattandosi la nuca.
"Io non ho visto niente!" Ringhia.
Afferro la mano di Eva e annuisco esaltata prima di trascinarla su per le scale con fretta e furia.
"Esme vuoi farti ammazzare non è così?" Si guarda attorno preoccupata.
"Andrà tutto bene, devi solo prestarmi una forcina."

JONATAN:
"Perciò il tuo matrimonio è fissato tra cinque giorni?"
Annuisco rivestendomi in fretta.
"Le nostre nottate finiranno presto..
Andrai a letto con lei non è vero?"
Non rispondo. Entro in bagno ed elimino il residuo del rossetto rosso di Nika dalle labbra, indossando gli occhiali da sole per coprire il rossore degli occhi.
"Potresti venire a trovarmi ugualmente." Continua dall'altra parte della stanza.
"Nika ci siamo divertiti, adesso dimentica tutto."
"Dimenticare? Io ti amo Jonatan, mi sono innamorata di te. Non posso dimenticare."
I miei muscoli diventano tesi come delle corde di violino.
Che cazzo si è messa in testa?
Afferro velocemente il telefono dal comodino e mi affretto a uscire da questa camera che odora di sesso e fumo.
Percepisco la sua presenza alle mie spalle.
"Jonatan!" Urla con voce rotta dal pianto.
Non mi volto ed esco dall'albergo raggiungendo rapidamente la macchina.
"Capo c'è un problema."
Mi acciglio osservando uno dei miei uomini, avanzare verso di me con una pistola tra le mani.
"Qualcuno è riuscito ad entrare nel suo studio."
Un senso di rabbia si espande in tutto il corpo.
Tolgo velocemente gli occhiali da sole e afferro il telefono dalla tasca del pantalone con poca delicatezza.
Tutte le telecamere della casa sono collegate al mio cellulare.
Nessuno può essere entrato all'interno della villa, questo è poco ma sicuro perciò il campo si restringe e non mi resta che pensare a lei.
Quella stronza ficcanaso.
Premo il dito sul display azionando il video delle telecamere di sicurezza e la vedo.
Chinata dietro la scrivania che parla al telefono guardandosi attorno ansiosa che qualcuno possa entrare da un momento all'altro e coglierla in flagrante.
Poco dopo si accomoda sul tappeto, stringe le ginocchia al petto e rimane in questa posizione per molto tempo.
"Signore desidera che.."
"No. Me ne occupo io."
"D'accordo. Dove la porto?"
Devo chiudere un affare importante e l'indomani partire come d'accordo con Paul per la faccenda del cartello di Medellín, Esme può aspettare.
So bene il motivo per il quale è entrata in quella stanza e so altrettanto che non toccherà nient'altro.
Posso mettere una mano sul fuoco.
Salgo in macchina e accendo una sigaretta alzando i finestrini oscurati.

ESME:
Sono le due di notte. Mi trovo dentro la doccia e non riesco a dormire ripensando alla voce piena di dolore di Emanuel.
Dire che mi manca è scontatissimo, ma non trovo altra parola per definire la mia nostalgia nei suoi confronti.
Mi manca litigare con lui quando è il momento di spegnere la televisione in camera, per i suoi i vestiti ammassati sulla sedia, i calzini sparsi e spaiati sotto al letto e per tutte le volte in cui usciva dalla doccia senza asciugare i piedi, camminando per casa e bagnando tutto il pavimento.
Tutte queste abitudini che prima odiavo ora mi fanno tremare il cuore.
Ricordo tutto questo con un sorriso sul viso.
So che starà bene. È un ragazzo intelligente, deve solo scoprire il mondo e crescere.
È sbagliato obbligare un ragazzino a diventare grande a soli quattordici anni ma è ciò che la vita ci impone in certe situazioni.
Vorrei tanto poterlo proteggere.
Strofino i capelli eliminando tutto lo shampoo ed esco dalla doccia, avvolgendo il soffice accappatoio rosso intorno al mio corpo.
Con poche falcate raggiungo la stanza, apro l'armadio bianco afferrando l'intimo semplice che mi ha fornito di nascosto Eva, visto i giusti terribili di Jonatan, e una camicia da notte azzurra.
Ma poco prima che possa far scivolare l'accappatoio a terra percepisco un rumore alle mie spalle.
Ecco che il cuore esplode.
La paura paralizza ogni centimetro del mio corpo e capisco immediatamente di chi si tratta.
Questa cosa la fa spesso. Entrare in silenzio e sorprendermi alle spalle.
Ma lo fa solo quando c'è qualcosa che non va, per questo l'ansia sale e non si ferma.
"Spogliati Esme."

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