Capitolo 35:

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Scusate l'assenza ma ho avuto dei piccoli inconvenienti, niente di grave.❤️

ESME:
La villa senza Jonatan è vuota.
Giro e rigiro per la casa in cerca di qualunque oggetto riesca a distrarmi ma la noia ormai ha preso il sopravvento.
"Esme c'è qualcuno che vuole parlare con te." La voce di Ledan mi porta ad alzare la testa dal tappeto rosso.
Annuisco stranita seguendolo nell'ufficio di Jonatan. Mi acciglio quando i miei occhi cadono su un uomo di circa quarant'anni, seduto su una delle due poltrone nere difronte la scrivania.
"Esme, giusto?"
Questa voce mi è molto famigliare, e anche quello sguardo freddo che ora mi sta esaminando da cima a fondo.
"Finalmente ci rivediamo. Ma guardati! Ti ho lasciata che eri solo una bambina e ora sei una donna a tutti gli effetti. E presto anche madre, no?"
"Chi sei?" Non comprendo.
"Sono Ettore."
Sussulto involontariamente.
"Ora ti ricordi?" Continua sollevandosi dalla sedia.
"Manteniamo una certa distanza." S'intromette Ledan, notando il mio disagio in questo momento, piazzandosi davanti a me.
"Voglio solo parlare con lei, con la sorella di mio figlio."
"Emanuel non è tuo figlio, un figlio è di chi li cresce e lo ama." Sibilo sconvolta.
Mi chiedo cosa ci faccia qua.
"Ci sono cose che non sai Esme, ad esempio il fatto che tua madre me l'abbia nascosto tutti questi anni."
"Forse avrà avuto una ragione per farlo."
So che mamma dopo la morte di mio padre ha iniziato a vendere il suo corpo in cambio di denaro per mantenere me, rimanendo nuovamente incinta quando io ero ancora molto piccola per un "errore", così lo definisce lei.
Ma non credevo che Ettore fosse all'oscuro di questo, pensavo che non avesse accettato mio fratello.
Adesso ricordo, ricordo tutte le volte che lo vedevo uscire di casa a tarda notte, quando io rimanevo sveglia a guardare la televisione, ma non prima di avermi stampato un dolce bacio sulla testa.
"Io e tua madre siamo stati insieme Esme ed è nato Emanuel, ho il suo stesso diritto di conoscerlo!"
Rimango muta perché non so cosa fare.
Mi ha colto di sorpresa.
"Come mi hai trovata? E perché sei in Albania?" Chiedo.
"Parecchi anni fa ho aperto un'agenzia di moda e mi sono trasferito qua."
"Come mi hai trovata! Rispondi!"
"Poco prima del tuo matrimonio con il signor Santoro ho letto un articolo di giornale che parlava del vostro fidanzamento ufficiale, c'era la tua foto in prima pagina, sei uguale a tua madre non è difficile riconoscerti."
Sposto gli occhi su Ledan che se ne sta a braccia conserte, appoggiato alla libreria ad ascoltare attentamente le sue parole, e sono sicura che lo fa per poi riferire tutto a suo fratello.
Sospiro passando le mani tra i capelli.
"Io credo che sia giusto parlarne con Emanuel."
"Jonatan non vuole." Interviene Ledan.
Mi acciglio.
"Desidera essere presente anche lui." Continua.
"Perché? È una questione che riguarda solamente Emanuel e suo padre, non riguarda me e non riguarda lui."
"Prima bisogna fare un test di paternità e non appena Jonatan sarà tornato dal suo viaggio.." Ledan marca la parola viaggio e io capisco al volo ciò che intende dire.
"Si potrà parlare tutti insieme." Conclude infine.
"Quando tornerà? Io ho bisogno di vedere mio figlio."
Osservando Ettore riesco a vedere un uomo realmente ferito da tutta questa situazione, non capisco perché mia madre gliel'abbia nascosto, non avrebbe dovuto farlo.
Lei diceva sempre che il padre di Emanuel non l'aveva riconosciuto come figlio, per questo motivo lei non l'aveva più cercato.
Ha sempre mentito e io non me ne sono mai resa conto.
Lui ha gli stessi occhi di mio fratello, è molto grosso e piazzato ma nonostante questo emana tanta tristezza.
Sono molto dispiaciuta.
"Qualche giorno e Jonatan la contatterà sicuramente. Le do la mia parola."

JONATAN:
Fisso il soffitto grigio, cercando di non ascoltare le discussioni dei miei compagni di cella. Sto in silenzio fino a quando le urla non diventano troppo forti, infastidendomi più di quanto già non lo sia.
La rabbia prende il sopravvento.
Prendo dal collo il ragazzo tunisino e lo scaravento contro al muro.
"Devi chiudere quella bocca, hai capito?"
Non risponde.
Si limita a fissarmi con gli occhi sgranati, pieni di paura.
"Hai capito?!" Grido più forte, colpendolo sul naso. Tira un urlo a pieni polmoni mentre si accascia a terra con il sangue che cola sopra la sua sudicia divisa nera.
"Non voglio più stare a sentire le vostre stronzate, piuttosto pulite questa stanza, fa schifo."

ESME:
"Avanti non buttarti giù, vedrai che Emanuel capirà."
"Lo spero Eva."
Mi accarezza i capelli perché sa che tra tutto è ciò che preferisco di più quando devo pensare.
Sono ore che sono nella stessa posizione, sdraiata sul letto, a spremermi le meningi.
Penso e ripenso a quell'uomo.
Incontrare il papà di mio fratello è stato uno shock, perché in fin dei conti siamo sempre stati io e lui da soli. Sono stata sempre ed esclusivamente io a fargli da genitore, sapere che ora un altro uomo è entrato nella nostra vita mi spaventa.
Emanuel potrebbe prenderla male o avere una brutta reazione.
"A cosa pensi?" Chiede Eva.
Non ho molta voglia di parlarne.
"A nulla, vado a fare pipì." Dico e mi sollevo a fatica.
Ma non appena faccio un passo ecco che il pantalone di tuta che indosso si bagna completamente, quasi come se mi avessero scoppiato un palloncino pieno d'acqua tra le gambe, e il dolore è lo stesso.
Sbarro gli occhi portando una mano sulla pancia.
L'ansia mi assale,
Il cuore schizza in gola e le gambe iniziano a tremare.
"Esme, tranquilla va tutto bene."
"Eva.."
Mia cognata salta giù dal letto in un millesimo di secondo e mi afferra la mano.
"Si sono rotte le acque Esme."

PHILOFOBIA.Where stories live. Discover now