🦀Non So Dove L'Ho Buttato 🦀

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anvone

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Sono sempre stata nella media. Il mio nome, Chiara, era il più scelto nel 2000. Sono nata a settembre, il mese con più nascite nel mondo. I miei capelli sono castani, così come i miei occhi. Sono alta 1.62, come la media delle donne in Italia, e sono normo peso. Dio però ha scelto di colmare questa mia apparente invisibilità con un dono che, a dirla tutta, è più una maledizione: la capacità di riuscire a cadere anche se sto camminando su un terreno liscio, di perdere qualsiasi cosa in mio possesso e di non poter socializzare con alcun essere umano senza dire qualcosa di sciocco o imbarazzante. In parole povere, sono la persona più goffa che esista su questo pianeta. Questa mia caratteristica mi ha portato a scegliere una precisa materia all'università, storiografia, perché quale miglior modo di nascondermi dal mondo se non quello di rifugiarmi in una biblioteca a leggere vecchi manoscritti che parlano di altri disadattati come me. Proprio per questo quella mattina, nonostante l'asfissiante caldo dell'estate romana, ero sulla metro per dirigermi in Vaticano per fare delle ricerche per il mio professore di Storia Medievale. Mentre leggevo - giusto per sentirmi superiore a tutte le altre persone attorno a me che stavano al telefono - una conversazione catturò la mia attenzione; sui posti davanti a me c'erano un ragazzo, che avrà avuto qualche anno in più, e una donna che dai lineamenti sembrava sua madre.

«Fabio, sei sempre in giro per il mondo e non vedi mai la tua famiglia! Non si discute, vieni e basta.» disse la donna, visibilmente su tutte le furie.

«Ma questo non vuol dire che io debba passare una giornata per musei. Perché fare un semplice pranzo è un'opzione così sottovalutata?» rispose il ragazzo.

«Ogni tanto un po' di cultura non ti fa di certo male. E poi tua zia Maria ci teneva ad andare.»

«Intendi la stessa zia Maria che non ha finito l'università? Da quando le piace andare per musei?»

«Fabio, smettila. Ti fai riconoscere anche sulla metro.»

In quel momento il castano, che a quanto sembrasse si chiamava Fabio, si girò e mi sorprese a fissarlo e fece un piccolo sorriso. Imbarazzata, tornai a fissare il mio libro fino a quando scesi ad Ottaviano.

Dopo qualche minuto di camminata raggiunsi il piccolo museo sotto cui si trovava lo studio in cui stavo lavorando. Ad accogliermi c'era una suora che non avrà avuto più di quarant'anni e che dopo avermi chiesto il cartellino mi informò che il Professor Gioli mi stava aspettando sotto. Mi diressi alla solita porta e scesi le piccole scale che conducevano a delle catacombe. A quel punto urlai «Professore!», il quale uscì dal passaggio segreto che conduceva alla biblioteca e mi fece entrare.

Dopo qualche ora a cercare informazioni utili ad interrompermi fu il mio professore.

«Guarda che ora si è fatta! Mi spiace ma ti devo lasciare, vado a pranzo con i miei figli. Eccoti una copia delle copie.» disse lui poggiando le chiavi sulla mia scrivania «A domani.»

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