Capitolo uno (2 di 5)

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Una volta superate le porte scorrevoli, come incantata, lei guardò i dintorni e constatò quanto il regno fosse davvero cambiato rispetto alle fotografie del padre.

Mentre si mosse sul gremito marciapiede in piastrelle bianche, la zona aereoportuale mostrava anticipazione di come fosse divenuta la capitale Amonn, una distesa di bianco candore al sole e un mondo fatto di uomini e donne che si muovevano un tutt'uno con il vento.

Un lieve odore di muschiato alleggiò nell'aria e si mescolò all'afa generale, di un profumo dolciastro, insolito e ricco di incognite misteriose e stuzzicanti.

Non appena Stefano la richiamò, Zara si volse e lo trovò in compagnia di un uomo maturo, con tanto di baffi brizzolati, il quale le chiese di presentare il biglietto per la navetta dell'azienda Jett diretta a Petra.

Malgrado l'estrema facilità nel comunicare con l'autista, si rese conto che l'uomo la stesse fissando in un modo alquanto insistente: solo quando si chinò per spingere la valigia nel vano dell'automezzo, e il suo anello fu in bella vista, lui le si avvicinò.

«È ebrea, Signora?» le chiese in un inglese impeccabile, cogliendola di sorpresa, indicando il gioiello.

Zara si morse la punta della lingua, cercando di non celare in fretta e furia quell'anello d'argento che indossava all'anulare sinistro, sulla cui superficie vi era incisa la stella di David e una luna con una stella solitaria a lato, appartenuto alla madre prima di morire.

«Perché me lo chiede, mi scusi?» ribatté sulla difensiva.

Le guance olivastre dell'uomo si imporporarono lievemente per l'imbarazzo.

«Ebbene, vede...» riprese «dobbiamo comunicarlo al nostro capo prima di partire...».

Lei strinse le palpebre.

«Ebbene sì, ma solo per metà» replicò laconica. «Mia madre era palestinese».

Con il cuore traboccante di emozioni contrastanti, osservò l'autista spalancare gli occhi, come spiazzato da una tale replica: Zara era consapevole di averlo lasciato senza parole, erano queste le reazioni che l'avevano sempre dedicato gli altri una volta scoperte le sue origini. Pericoloso, forse spavaldo, considerò dopo, rivelarsi a quell'uomo per ciò che era, israeliana e al contempo palestinese.

Tuttavia, non era mai stato in Zara mentire e rinnegare ciò che era: il padre le aveva insegnato a non negare mai chi fosse, perché la famiglia Ascarelli aveva rischiato di svanire per la follia scellerata di quegli uomini che si definivano la razza ariana e più di tutti conoscevano l'importanza dell'amore e del perdono nella vita.

Se non fosse stato per la forza d'animo e per l'aiuto solidale dei compagni, il nonno di Zara non sarebbe mai uscito vivo dal campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove in seguito aveva appreso fossero stati uccisi la madre, il padre e le sorelle minori: una volta finita la guerra, quel bambino aveva fatto ritorno a Roma con gli zii materni e aveva ricominciato a vivere, tacendo gli orrori vissuti sulla propria pelle.

Poi erano arrivati i vecchi amici, quelli con cui aveva condiviso mille soprusi e atroci violenze, gli incontri in privato e le confidenze, e lui aveva iniziato quel cammino di catarsi e raccontato tutto ai familiari. Malgrado ciò, i suoi demoni non lo aveva mai lasciato, e l'ultimo ricordo che Zara conservava di quell'uomo era l'ennesimo tentativo di cancellare quei numeri tatuati sul braccio con un affilato coltello da cucina...

Al solo ricordo, le labbra le tremarono e sentì gli occhi inumidirsi, quando la mano forte di Stefano sulla sua spalla la strappò a quei ricordi oscuri sul tormentato nonno.

«La scusi, siamo molto stanchi per il viaggio» intervenne l'amico, per poi trascinarla via.

Nell'istante in cui furono a una certa distanza, accanto allo sportello del mezzo lurido di polvere, Stefano si volse di scatto e la affrontò.

«Hai dimenticato le raccomandazioni del professore Balzoni?» sussurrò in tono furioso.

Lei sospirò.

«No, Stefano».

Alla sua risposta, lui storse la bocca in una smorfia.

«E allora mi sai dire dove diamine è finito il tuo buonsenso?».

Zara inarcò un sopracciglio.

«Scusa?».

«Un mese fa è avvenuto un attentato qui, a Karak» le fece presente. «Un gruppo di turisti è stato sequestrato dai terroristi e una delle due turiste uccise era... era un'ebrea».

Poi lanciò un'occhiata fugace e cupa all'autista, intento a sistemare i bagagli degli altri passeggeri nel vano. 

Alba di Perla [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora