Capitolo 6

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DYLAN POV  (vi sento urlare fino a qua. Credevo fosse arrivato il momento di farvi assaporare un po' di Dylan dato che molte hanno chiesto sue notizie...)

Il tempo è forse una delle cose più difficili da spiegare. È qualcosa di veloce o di lento? Un susseguirsi di eventi? Una prolungata attesa? Un infinito tormento? Un contorto meccanismo di tortura?

Se c'era una cosa che la vita mi aveva insegnato, era che il tempo fosse qualcosa di intangibilmente soggettivo, e come tale, aveva definizioni differenti in base alle esperienze personali e alle sensazioni individuali.

Per me il tempo non era mai stato un problema. Sono sempre stato uno che viveva il qui e ora senza preoccuparsi di ripercussioni.

Quando sono in congedo il tempo passa senza che me ne renda conto e anche se sono passati 6 o 8 mesi prima della successiva missione, a me sembrano essere passati pochi istanti.

Ma quando sono in missione...per quanto ami il mio lavoro, le ore sembrano giorni e i giorni mesi e i mesi, anni.

Siamo accampati da più o meno due settimane nel deserto del Dasht-e Khash, ad una altitudine di 620 m s.l.m (*) nella provincia del Nimruz (Afghanistan). Ed è adiacente al deserto di Dasht-e Margoh. Per cui sono ben 14 giorni che vediamo solo distese di sabbia senza fine.

Sto esaurendo la pazienza, ma ci hanno ordinato di rimanere nascosti qua per il tempo necessario. Qualcuno a quanto pare ha fatto una soffiata e a noi è toccato battere in ritirata e isolarci in mezzo a due deserti per un po' di tempo. Almeno finché i talebani non si saranno convinti del fatto che siamo andati via.

Siamo in 15, quindi tre squadre e tre maggiori. Nessuno con cui abbia lavorato a stretto contatto in precedenza. Nessuno che sia così vicino a me come lo erano Jeremy, Jackson, Red ed Aston. Ma non posso lamentarmi. Sono tutti bravi ragazzi e la maggior parte li ho addestrati io. I cecchini che abbiamo a disposizione sono 5 e sono tutti addestrati da Aston. Per cui sono i migliori sul campo.

Abbiamo incontrato nemici all'inizio della nostra ritirata, proprio al principio del cammino del Dasht-e Khash, e abbiamo riportato solo tre feriti di cui uno solo grave e alcun morto. Direi che posso definirla una vittoria per quanto possa essere concepita in questi termini.

Rabbrividisco quando sento l'ennesimo grido lancinante provenire alle mie spalle, più precisamente nella tenda con la croce rossa stampata all'entrata.

Il ferito grave è un ragazzo di 18 anni, ha riportato una frattura alla gamba destra con fuoriuscita dell'osso oltre che tripla frattura delle costole e Isabel e Raquel si stanno occupando di risistemarlo. Le scorte di medicinali iniziano a scarseggiare , per cui anche gli anestetizzanti locali e totali. Ciò comporta il dover subire tutto il dolore che quel povero ragazzo sta provando da giorni e giorni ad ogni minimo movimento.

"Cazzo" sussurro sbattendo il legnetto sulla pietra che fa da cornice al piccolo fuoco improvvisato all'ultimo

Digrigno i denti quando Alex, questo è il suo nome, caccia l'ennesimo grido e lo sento implorare di lasciarlo stare per un po'.

18 anni cazzo...un ragazzino. E deve sopportare più di chiunque altro alla sua età.

È la vita che ci siamo scelti è vero, ma quanto può sopportare una sola persona? Io ne ho le palle piene di vederli soffrire eppure sono di nuovo qui. Ho lasciato la pace di Coronado e del mare, e anche la tranquillità del mio appartamento. Ma soprattutto ho lasciato mio cugino, e la ragazza migliore che abbia mai avuto modo di conoscere.

Ogni sera, prima di addormentarmi, penso a cosa succederà quando la rivedrò...se la rivedrò.

È il mio pensiero costante, il suo sorriso è quello che mi aiuta a stringere i denti e continuare. So che mi odia, so che l'ho ferita in modo irrimediabile e permanente, ma era necessario. Per quanto possa sembrare incomprensibile all'esterno, io non potrò mai essere ciò di cui lei hai bisogno. Lei vuole stabilità, vuole serenità, vuole amare ed essere amata in modo incondizionato e vuole giustamente essere al primo posto. Ma io non posso metterla al primo posto, perché quello è occupato da Jackson e lo sarà sempre. Lui è la ragione per cui sono qui. Jackson ha sempre amato quello che faceva e non avrebbe mai rinunciato. E io per quanto abbia tentato di essere diverso, di vivere la vita in modo diverso vedendola attraverso gli occhi nocciola della ragazza che ho amato...non ci sono riuscito. Ho fallito...Non potrò mai starmene chiuso in un ufficio tra scartoffie e qualche addestramento come hanno fatto i miei amici. Mi serve rimanere legato al mio migliore amico attraverso quel filo sottile ed invisibile che c'è ancora nonostante lui non sia più qui a condividere questo schifo con me. Stare qui mi fa sentire più vivo che mai, perché tutto mi parla di Jackson...ed infondo, questo è il posto in cui mi ha lasciato. Qui è dove tutto è finito. L'Afghanistan, per quanto contorto e raccapricciante possa apparire ad occhio esterno, è diventata la mia casa, perché è dove riesco a percepire il mio migliore amico. Lo scorgo nei colori del tramonto, nelle serate gelate e ventose, nel sussurro prodotto dalla sabbia che si muove, nel canto degli uccelli e dal suono ritmico dello scoppiettare della fiamma del fuoco che accendiamo la sera. Lui è in ognuna di queste cose e per me l'unico modo di sopravvivere alla sua assenza è colmandola con tutto ciò.

Through the water Où les histoires vivent. Découvrez maintenant