Star Color 4

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...continuo...

Quando ero piccolo pensavo che gli altri avessero il cuore di polistirolo. Mi dicevano che ero come un fiore di marzo, bello e fragile, anche se di bello avevo solo la bellezza della mia stessa fragilità, perché aveva il potere di farmi provare emozioni che credevo perdute. Ero un piccolo marmocchio che si perdeva nella sua testa e non sapeva mai dove. Mai.

Quando ero bambino credevo veramente che gli altri avessero il cuore di polistirolo. Lo immaginavo ancora a vent'anni. Però, Kirishima che dormiva sul mio letto, con la febbre e col panno sulla fronte, iniziai a pensare che il suo non era fatto di polistirolo, né di carne. Era fatto di gentilezza. Così tanta gentilezza da esserne sensibile e rivoltarsi contro se stesso, a volte.

E non avevo mai avuto il piacere di vedere o sentire così tanta grazia. Tanto silenzio. Tanta bellezza...

Era lui al momento, il fiore di marzo.

I capelli gli dondolavano davanti le ciglia. Osservavo i suoi dettagli, qualunque, e poi, lo riportavo sul foglio. Ad ogni posizione che cambiava durante il sonno, io la raffiguravo. Avevo perso il conto di tutti i pezzi di carta conservati sul cassetto dove il suo viso ne era il protagonista, insieme agli altri.

Ogni singolo momento avevo la voglia di alzarmi, andare lì, e di accarezzargli il viso. Ne avevo una voglia matta.

Pensai che non si sarebbe svegliato se l'avessi fatto. Stava dormendo profondamente, e neanche il rumore della pioggia l'aveva turbato, al contrario di me.

Detestavo profondamente i rumori, non riuscivo a sopportarli. Certe volte non riuscivo a sopportare neanche il rumore della matita sul foglio. Da lì ho cominciato ad ascoltare le canzoni metal, sovrastavano qualsiasi frastuono e lo dilaniava.

Tutto per me faceva chiasso, persino i miei stessi battiti del cuore. Però quando Kirishima era accanto a me, chissà perché, la profondità degli strepiti, si dissolveva quasi del tutto.

E mi ero già alzato da quella seggiola. L'unica fonte di luce era una lampadina che mi accompagnava quando disegnavo, riuscivo ugualmente a vedere perfettamente ogni lineamento che lo valorizzava.

La mezzanotte cominciava a farsi sentire sulle mie palpebre, ma non m'importava. Volevo sapere cos'era la sensazione della pelle oltre le mani. Mi sedetti sul materasso. Lui aveva la bocca leggermente socchiusa, e si intravedevano i suoi denti un po' più appuntiti del normale.

Gli accarezzai le guance accaldate. Gliele lisciai con la delicatezza che posseggono solo le ali delle api, e il sapore del miele. Non c'era molta luce che lo illuminava, però, il colore di quelle goti arrossate era impresso nella mia mente.

Forse la finezza non bastò. Aprì gli occhi. Si vedevano solo due fessure, e mi guardava come se ci fossero le stelle nella stanza.

«La febbre è abbassata, però sei ancora un po' accaldato.» Cercai una scusa, ed ero bravo a mentire, le mie espressioni non mi contraddicevano mai, ma il battito del cuore, sempre.

Nonostante questo, avevo la sensazione che lui non avesse creduto alla mia scusa.

Una volta mi chiamò "Bakugou Katsuki Anti-sgamo", un nomignolo che non mi si addiceva minimamente, ma detto da lui sembrava veramente che le bugie che dicevo mi si sgretolassero davanti, da renderle evidenti come un pennarello rosso su un foglio di verifica.

«Stavi controllando la temperatura della febbre... dalle guance? Accarezzandomi le guance? Anti-sgamo, Bakugou.» Sogghignò e questo mi fece arrossire e balzare. Non amavo che le persone mi contraddicessero.

Però, cazzo, lui aveva ragione.  Aveva fottutamente ragione e io non sapevo come controbattere, perciò, tirai la prima cosa che mi passò per la mente in quell'istante.

Kiribaku  One Shot حيث تعيش القصص. اكتشف الآن