𝕊𝕥𝕒𝕣𝕤 𝕔𝕠𝕝𝕠𝕣 𝟝

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(Un po' trash la foto però fa niente)

continuo...

Il pentimento è il più vivo delle sensazioni. Ti imprime diniego, solitudine e dolore, e nonostante esso sia così vivo dentro le anime delle persone, lentamente muoiono con il fuoco dentro.

Io ero così decadente per colpa del pentimento, che stentavo a credere che quell'angoscia stimolava la vita.

Quando tirai quel pugno, le conseguenze che giunsero dopo furono strazianti per me, ovviamente solo in ambito mentale, della ferita non mi importava molto.

Ebbi una leggera distorsione al polso, e l'unica cosa a cui pensavo quando l'infermiere mi medicava, oltre al fastidio che mi provocava quell'acido contatto fisico, era che avrei dovuto passare due settimane a riposo.

Le sue parole furono chiare: non dovevo sforzarmi, e nella mia lingua significava che non avrei potuto disegnare per un po'.

Le sue parole ebbero un impatto così palpabile, che credevo che qualcuno mi avesse premuto contro del ferro rovente sulla fronte.

Quando io e Kirishima uscimmo dalla guardia medica, nessuno dei due disse una parola. Ognuno di noi era condizionato dai propri pensieri, e i miei erano solo rivolti al pentimento di quel dannato pugno che avrei potuto risparmiarmi.

Camminavamo per le vie buie, sotto i lampioni che davano luce a quelle strade solitarie. Casa mia non era lontana, arrivammo dopo pochi minuti all'appartamento.

Non lo invitai ad entrare, ma lui stava già riponendo le scarpe vicino al tappeto, e aveva già chiuso la porta.

Appese il suo cappotto sull'appendiabiti e mi aiutò a togliere il mio, appendendolo per me.

Io non avevo mai chiesto queste adulazioni, e probabilmente nemmeno le meritavo, ma quando qualcuno ti tratta come l'unico bocciolo su un prato che si preparava alla carestia, non puoi fare altro che sederti comodo e aspettare che la bella vita finisca, e nel frattempo, godertela.

«Hai fame?» mi chiese.

«Un pochino, forse»

«Forse?»

Mi diceva sempre che l'indecisione non era tra le mie virtù. Per me ero vanificato da insicurezze che mi deportavano con un vincolo di costrizione, ma le mie espiazioni erano ancora discoste, e aspettavo con la coscienza stremata una di esse, almeno, mi sarebbe bastata una sola espiazione, probabilmente per tutta la vita, avrebbe purificato quel che si stava arrugginendo.

Non avevo fatto poi così tanti peccati, non ero nemmeno credente, eppure, per gli altri era così, quindi se qualcuno pensava che c'era qualcosa che in me non andava, doveva essere vero, altrimenti, perché pensarlo?

Non era vero, in realtà, ma lo pensavo comunque, per restare nel pensiero comune e avere una piccola parte che potesse accomunarmi con gli altri.

«Un po'» risposi. Non riuscivo a capire perché in quel momento l'imbarazzo stesse riaffiorando sulle mie guance. Tenevo lo sguardo basso e non riuscivo a guardarlo negli occhi, quei bellissimi occhi rossi come il sangue che mi usciva dalle nocche, come il tubetto di colore che comprai alla bottega, come quello che vedevo quando pensavo a lui.

«Cosa ti andrebbe?»

«Uhm.. Latte caldo e biscottini»

«è tardi per il latte, non credi?»

«è tardi per lasciarsi andare agli stereotipi del latte a colazione, non credi?» ghignò.

E mentre lui faceva bollire il latte su un pentolino, io ero come corrotto da sensi di colpa accumulati nel tempo. Ero come traviato, la testa andava in fiamme,il respiro farsi sempre più carente, e la vista cominciò ad annebbiarsi. Non riuscivo a capire se fosse per colpa degli occhi che cominciavano ad inumidirsi, o dei capogiri che stavano affrontando un massacro contro la poca lucidità che era rimasta quella giornata.

Kiribaku  One Shot Where stories live. Discover now