capitolo speciale

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Background della storia dal punto di vista di Eijiro. Idea offerta da _vnesss_
che ringrazio per lo spunto.

Il passato è di color rosso.

Sin dai primi anni della sua vita Eijiro aveva capito che il mondo era un posto crudele e non tutti avevano diritto di vivere in società.

Non si era mai distinto per empatia o carità, era sempre stato un bambino silenzioso e riservato. Gli piaceva stare ore a fissare fuori dalla finestra o dall'angolo della stanza e studiare le altre persone.

Le loro azioni, il modo di reagire, le loro emozioni.

Era bravo a capire quando gli altri mentivano e altrettanto a fingere a sua volta. Non si era mai preoccupato di dover dire la verità, perché infondo non ce ne era un vero bisogno.

Se loro lo facevano con lui, lui avrebbe fatto con loro.

Nessuno si sarebbe messo a trattarlo meglio solo perché si comportava in modo più onesto. Tutti avrebbero premiato comunque i bugiardi. Così si era costruito una personalità diversa, meno silenziosa che si potesse integrare meglio.

Forse aveva fatto finta di essere qualcun altro per molti anni, perché il signor Akuna (che chiamava papà nonostante il sostantivo suonasse strano nella sua bocca) non si era mai preoccupato di come si comportasse fuori casa o se il suo adorabile figlio adottivo fosse una mina pronta ad esplodere.

Le prime risse durante gli anni delle medie avevano lasciato tutti a bocca aperta.

Eijiro si era sempre mostrato composto, studioso e rispettoso per chiunque. Per quanto non parlasse molto di stesso e qualcuno lo trovasse un strano, non aveva mai avuto problemi a far amicizia.

Si poteva dire che fosse un bambino socievole.

Il problema iniziò a presentarsi il giorno in cui spaccò il naso ad un suo compagno di classe perché si era permesso di mettere mano al suo quaderno di appunti.

Non ricordava come fosse esattamente successo, perché non aveva mai avvertito il bisogno di picchiare nessuno o fare del male in generale. Aveva sentito la rabbia scorrere così velocemente fra le vene da non riuscire a pensare. Un pugno ben stretto nella mano e si era scagliato sul suo naso senza esitazione.

Non si era sentito in colpa, l'unica cosa che aveva pensato era stata "non puoi toccare ciò che è mio" e senza aggiungere nulla ad alta voce aveva passato la sua settimana di sospensione a casa. Suo padre non aveva detto granché, i rimproveri dei professori erano bastati, si era solo assicurato che nessuno sporgesse denuncia contro un tredicenne.

Aveva promesso di non farlo più, mentendo.

Perché da quel giorno era scattato un meccanismo a dir poco piacevole, che aveva a che fare con l'adrenalina e l'endorfine che liberava ogni volta che faceva del male o si faceva del male. Aveva iniziato ad apprezzare il dolore, elaborando una nuova visione del mondo dove le persone si dividevano in: chi soffre e chi fa soffrire.

In generale aveva condotto un percorso scolastico decente, procedendo per le sue passioni di nascosto.

Non era di certo stupido. Sapeva che avrebbe rischiato a farsi vedere aggressivo e ostile, oltre che rischiare conseguenze penali. Non poteva picchiare le persone senza un motivo. Soprattutto a scuola.

Intorno ai diciassettenne anni aveva iniziato a frequentare gente più strana di lui, ma non era mai stato un tipo che giudica apertamente, li aveva accettati per com'erano. "Chi non ha peccato scagli la prima pietra" era una frase che funzionava bene. Non poteva lanciare la pietra.

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