1 ~ Bugiardo

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Al termine del bacio che mi aveva rubato, guardandolo con attenzione, pensai subito che fosse strano, pallido. Era sempre stato di carnagione chiara, decisamente più chiara della mia che tendeva al color caffè, ma pareva proprio che fosse lì lì per vomitare la colazione – o il pranzo, data l'ora.

Non credevo c'entrasse qualcosa la mia prestazione pessima durante il bacio.
Me lo aveva rubato. Ero rimasto imbambolato tentando di non mettermi ad urlare e attirare così attenzioni indiscrete.

Era già un miracolo che non ci avessero riempiti di insulti in quanto avevamo appena dato spettacolo di un bacio gay in piena Piazza di Spagna.
Una cosa scandalosa.

Non ci credevo neppure io, che fosse scandalosa per quel motivo. Di certo lo sarebbe stata se fossimo finiti sotto gli occhi di qualche mio conoscente.

Anch'io mi sentivo sul punto di vomitare, esattamente la pioggia di insulti che ero riuscito a trattenere fino a pochi istanti prima. Forse era proprio quello che me lo aveva fatto sembrare malaticcio di punto in bianco?
No. Era più probabile che stessi riversando su di lui il mio disagio.

Come diavolo gli era venuto in mente di baciarmi davanti a tutti?

Mi guardai intorno percependo i muscoli del corpo tirare dolorosamente a causa della tensione. Mi sentivo catapultato dentro un film dell'orrore, pronto a soccombere al mostro –  in decolté e tubino rosa cipria – da un momento all'altro.

Mia moglie, però, non era affatto un mostro, anzi. E quella mattina, quando era entrata in salone sfoggiando il suo outfit per andare al lavoro, mi era parsa persino affascinante. Seppure mancasse, per mio personalissimo gusto, di un qualcosa di assolutamente fondamentale per catturare la mia attenzione di uomo: non era un uomo.

Per mia fortuna, non si trovava lì – e mi parve di non vedere nessuna faccia familiare in giro.

Tornai a voltarmi verso di lui e lo spinsi malamente lontano da me. -Sei impazzito?-

-Mario...-

-Mario un cazzo, Danie'. E se ci avesse visti qualcuno?-

Daniele si strinse nelle spalle e prese a seguirmi, mentre io mi dirigevo a passo spedito in direzione del palazzo che ospitava il mio ufficio.

-Sono stanco di nascondermi-

-E questo lo avevo capito. Ma c'era bisogno di essere così melodrammatici?-

-Ci frequentiamo da un anno. Dovresti sapere, ormai, come sono fatto-

Mi fermai davanti il portone del palazzo in cui lavoravo, ero pronto a riempirlo di nuovo di insulti. Ma, di nuovo, riuscii a trattenermi.

Quella situazione mi stava uccidendo.
Sul serio.

Sensi di colpa nei confronti di Lucia – che stavo tradendo da un anno.

Sensi di colpa nei confronti di Daniele – che era diventato il mio amante da un anno.

Sensi di colpa nei confronti di Martina e Giuseppe – perché stavo tradendo la loro mamma con il rischio di sfasciare la nostra famiglia in un modo assolutamente irrecuperabile.

Sensi di colpa nei confronti di me stesso – per quello che ero diventato.

Un bugiardo.

Mi facevo schifo da solo.

Eppure, non sapevo proprio come uscire da quella situazione.

Aprii il portone e corsi all'interno del palazzo. Daniele fu più veloce di me: con una mano bloccò la chiusura del portone, mi spintonò dentro l'atrio con una spallata e si richiuse la porta alle spalle. Scappai in direzione degli ascensori – grato che il portiere fosse assente durante l'orario di pranzo – e mentre ringraziavo mentalmente la mia buona sorte per avermi fatto trovare l'ascensore al piano, Daniele mi afferrò per un polso, impedendomi di aprire la porta di metallo.

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