2 ~ Se

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Mi ero già pentito della mia promessa. Pentito di avergli detto "ti amo".

Come si fa a lasciare una persona subito dopo averle dichiarato amore?

Come se non tradissi tutti i giorni, una persona, anche subito dopo averle dichiarato amore.

Bugiardo.

Mi battei le mani sulle guance mentre il mio riflesso nello specchio pareva emulare una raffigurazione dell'urlo di Munch.

Ero stato a una mostra dedicata all'artista nemmeno troppo tempo prima. Con mia moglie. Incontrando gente che lavorava con lei al museo. Non ero mai stato a una mostra con Daniele proprio per quel motivo: per paura di incontrare qualcuno che potesse riconoscermi e spifferare tutto a Lucia. Eppure Daniele era un artista, uno di quelli che con la macchina fotografica era in grado di ricreare mondi dentro mondi, colmandoli di poesia. Mi sembrava davvero un'ingiustizia dover rifiutare tutti i suoi inviti a mostre, non presentarmi alle sue di mostre. Non ero stato presente neppure il giorno in cui gli avevano assegnato un importante premio. C'era stato il sindaco di Roma alla cerimonia. C'era stata persino Lucia in rappresentanza del Nazionale.
Non c'ero stato io.
Un incubo.

Avere un amante non era mai stato qualcosa che avevo preso in considerazione, neppure quando, per salvare l'integrità della mia famiglia, estremamente conservatrice, avevo deciso di reprimere i miei reali impulsi e di sposare Lucia.

Una donna valeva l'altra. Lucia era sempre stata gentile, era bella, avevamo frequentato il liceo insieme, ci conoscevamo da sempre ed era innamorata di me. L'idea di trascorrere il resto della mia vita al suo fianco non mi sembrava così orribile, seppure non provassi il minimo amore per lei. Nessuna scintilla di passione.

A quasi quarant'anni, invece, la mia vita rischiava di andare a puttane proprio perché non ero stato in grado di tenere l'uccello nelle mutande.
E neppure il cuore al sicuro, in gabbia.

Mi strinsi la camicia all'altezza del petto, distogliendo l'attenzione da quel punto, inseguendo le rughe che avevano iniziato a fare capolino sul mio viso. Soprattutto tra le sopracciglia, intorno alle labbra, a segnare le espressioni serie che mi avevano contraddistinto negli anni.
Avevo imparato a sorridere con Martina, poi con Giuseppe. Ma sempre con un fondo di tristezza e tensione.
Avevo imparato a ridere e per davvero solo con Daniele.

Gli avevo promesso che non lo avrei lasciato, quella sera.

Avrei dovuto lasciarlo.

Sospirai, mi sciacquai le mani e uscii dal bagno.

-Esci?- Lucia mi intercettò nel corridoio.

Avevo tolto il tubino cipria e indossava una comoda tuta che non riusciva proprio a nascondere il suo seno prosperoso.

-Una cena di lavoro-

-Un'altra?-

Le diedi un bacio su una guancia, vicinissimo alle labbra. Non avevo voglia di baciarla sulla bocca, sapevo che avrei pensato a Daniele, che la mente sarebbe corsa a ripescare sapori e odori che in lei non avrei mai potuto trovare, e mi dispiaceva proprio dover mettere mia moglie a confronto con il mio amante. I suoi baci non avevano proprio nulla che non andava. Ero io il problema.

-Sempre lo stesso cliente. Te l'ho detto: un pezzo grosso. Una grande azienda. Dobbiamo ancora riuscire a definire alcuni dettagli...-

-Sì, sì- mi interruppe Lucia, agitando una mano per aria. -E non potete proprio definire questi dettagli durante le ore di ufficio?-

-Lo facciamo già, ma non bastano-

La mia voce ebbe un tremito strano. O forse era il senso di colpa a farmi percepire strana la mia stessa voce. Temevo che non fosse così, temevo che pure Lucia si fosse accorta che avevo esitato, che stavo mentendo.

Lei si strinse nelle spalle. -I bambini volevano cenare con te. Questa settimana sei stato poco a casa-

I bambini.

Mi ero sposato con lei per non perdere la mia famiglia.

Avrei dovuto lasciare Daniele per Martina e Giuseppe. Per Lucia, perché, davvero, non se lo meritava.
Mi sentivo impazzire.

Permetti due dita sulle palpebre e sospirai. -Domani, stasera non posso-

-Non li hai proprio visti, oggi. Ci rimarranno male-

-Non posso rimandare-

Egoista.

La verità era che avrei potuto. Rimandare di un giorno la mia rottura con Daniele. Ma mi sentivo come se mi stessi trattenendo da troppo tempo e fossi ormai arrivato al punto estremo di sopportazione.
Non volevo rimandare.

Se tutto fosse andato come mi auguravo, quella sera, non avrei più avuto "impegni improrogabili con pezzi grossi" che mi avrebbero rubato altro tempo con i miei figli.

Tutto ciò suonava nella mia mente come una barzelletta oscena.
La mia vita era diventata una barzelletta oscena.
Era arrivata l'ora di mettere fine allo spettacolo.

Arrivai davanti casa di Daniele alle venti in punto. Rimasi per un po' fermo sul marciapiede, a fissare il cancelletto di ingresso della sua silenziosa villetta nascosta tra gli alberi.

Adoravo quel posto. Adoravo il senso di quiete che mi trasmetteva, la sicurezza che mi infondeva.

Sarei stato al sicuro tra le mura di quella casa, tra le braccia di Daniele, con solo il nostro amore a farci compagnia.

E non avremmo avuto bisogno di altro per essere felici. Per ridere davvero e di cuore.

Sarebbe potuta essere una bella vita.

Una vita che sapevo di non meritare.

Una vita di cui mi ero privato.

Se.

Ma con i se non si va da nessuna parte e sapevo con certezza di non poter chiedere una seconda possibilità. Mi sarebbe stato impossibile riavvolgere il nastro della mia vita, non privarmi di nulla e vivere davvero.

Non ci sarebbe stata Lucia, al mio fianco – e, forse, nemmeno Daniele.

Sicuro non ci sarebbero stati Martina e Giuseppe e quella era l'unica cosa che mi spingeva ad andare avanti senza guardarmi indietro.

Se.

Eppure mi trovavo lì, lontano dai miei figli.

Egoista.

Mi sentivo in colpa, ma non potevo fare a meno di pensare, con estrema vergogna: se non ci fossero neppure loro.

Sospirai, suonai al citofono.
Il cancelletto si aprì subito ed entrai percependo all'istante un peso enorme gravarmi sulle spalle.

Ero lì per lasciare Daniele – perché Martina e Giuseppe c'erano.

Gli avevo promesso che non lo avrei lasciato.

-Ciao- mi accolse con un sorriso, in canotta e pantaloni di tuta. Non avremmo avuto bisogno di altro per essere felici e mi trovai a ricambiare il suo sorriso, a cercare le sue labbra per un bacio. -Come stai? Ti sei calmato un po'? Mi dispiace per oggi, ma...- Altro bacio e le sue parole si esaurirono. Mi circondò il collo con le braccia e il suo sorriso si fece più ampio. -Ho preparato la cena...- e mi accarezzò il mento con un dito, scendendo poi sul collo, sul Pomo d'Adamo, mentre mi mordeva la mandibola, sopprimendo un altro sorriso.

Lo abbracciai in vita e me lo schiacciai contro, in cerca ancora della sua bocca.

Ogni buon proposito evaporato.

Non volevo lasciarlo, non volevo.

Persino il mio inconscio aveva riposto quell'idea malsana al sicuro in fondo alla mente. Mi tormentava nel profondo, ma con una voce che era diventata a stento udibile, lontana, inconsistente.

Daniele era caldo, vivo, concreto.
Era esattamente quello che volevo.

-Ho fame-

-Menomale. Sai quanto ho impiegato per cucinare tutto come si deve?-

Sorrisi e gli sfiorai la punta del naso con la mia. Gli baciai una guancia e accostai la bocca a un suo orecchio. -Ho fame di te-

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