Ritornello

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«A me era proibito regalarti un pupazzo, però io devo accettare un pesce rosso.»

Alaya alzò il sacchetto di plastica. Si muoveva un pesce rosso al suo interno, pigro, in quei pochi centimetri di acqua. Agitava la sua coda flessuosa, un guizzo rosso in mezzo a un colore informe.

I pesci rossi erano importati, non erano originari di quelle terre. I loro antenati avevano provato ad adattarli all'ambiente e aveva funzionato, come poche volte. Erano rimasti animali domestici, con una natura così mansueta, ottimi premi per le fiere, con una vita così caduca.

«Sì.»

La risposta di Alaya fu secca, non ammetteva ritrattazioni. Quel pesce rosso doveva tenerlo, quindi accudirlo, una dote che non le apparteneva.

«Ti ricordo che non ho un gran rapporto con gli animali domestici. Senza nostro padre, la cicuria sarebbe morta.»

«Infatti mi affido a lui, perlopiù», ribatté Alaya, «Accettalo come pegno, anche se non te ne prenderai cura te.»

Quelle parole, quelle parole bastarono a convincerla. Era una piccola e breve vita, ma non aveva ben compreso quanto valesse.

Un momento di tristezza, i soliti pensieri, morse il suo frutto caramellato per un po' di dolcezza. Si guardò attorno, per distrarsi, e trovò qualcosa di interessante.

«Alaya» richiamò sua sorella.

Con un cenno del capo, le indicò una bancarella.

Alaya si voltò, poi guardò lei, perplessa.

«Un ritratto su stampa, per quale motivo?»

Non le rispose, non c'era tempo per le spiegazioni e nemmeno per un rifiuto.

Voleva ricordare, per quanto possibile, più possibile. Alaya non amava i ritratti, odiava vedere se stessa riprodotta, in qualsiasi formato. Non le piaceva essere osservata a lungo, sotto sguardi indagatori, tanto da forse scoprire qualcosa, forse vedere cosa si celasse dentro la sua anima.

Questa volta, però, avrebbe accettato, lo avrebbe fatto per lei.

«Buonasera.»

Appoggiò il grosso pupazzo di coniglio sul bancone. L'aveva vinto, come Alaya il pesce rosso. Un pegno reciproco, peculiare, come erano loro. Un secondo, uguale per entrambe, avrebbe aggiunto valore.

«Vorremmo un ritratto a stampa, per favore» disse, con gesti precisi.

Una testolina si era alzata, piena di sporgenze blu e rettangolari. La guardò con due occhietti curiosi, captando i suoi gesti, cercando di decodificare le parole. Annuì, infine, oscillando le sporgenze, dove pennelli, incisori e gessi erano attaccati. Si spostavano, irregolarmente, senza staccarsi.

La creatura, poi, prese una tavoletta di legno, tra le tante di tante dimensioni sul bancone. La prese con le sue sottili mani, sottili come il suo corpo, nascosto da una lunga e lineare veste.

Piccole creature erano i Pikiu, abitanti originari di quelle terre. Convivevano con loro, ora, dopo l'inizio. La loro umana mente aveva avuto difficoltà a comprenderli, a classificarli nelle sue rigide categorie. Intelligenti o meno? Selvaggi o civili?

Rimasti sul limbo, i Pikiu avevano però mostrato che sapessero lavorare. Erano artigiani, sempre lo erano stati, ma gli umani non l'avevano capito, non subito. Avevano dovuto superare parte dei loro pregiudizi, analizzando le loro case, le loro vite, le loro incomprensibili tradizioni. Ed erano ottimi artigiani, anche più di loro. Le barriere si erano abbassate, i Pikiu avevano potuto entrare nella società, aiutare e collaborare. La loro istruzione era giunta dopo, con i segni, non sapendo i Pikiu parlare. Poi, dalla comunicazione, gli umani avevano cercato di comprendere il resto di quelle terre, grazie a loro.

Piccoli informatori erano stati i Pikiu, ingenui nella loro semplicità. Tutto avevano rivelato di buon cuore, tutto tranne un dettaglio, qualcosa che era pure loro oscuro.

C'era stato qualcun altro in quelle terre, qualcuno che aveva incuriosito la lontana Crysis, qualcuno che si era opposto, qualcuno di fastidioso. Piccoli informatori, ma per loro erano rimasti muti.

Il Pikiu incrociò le gambe e mi mise al lavoro, attaccando e staccando gli strumenti di lavoro, ritmicamente, accompagnano di suoi pensieri. Pensieri strani per lei, dalla mente così semplice, ma erano inevitabili se Alaya guardava il Pikui in quel modo, ne sentiva il disagio. E il disagio non era il ritratto, ma altro. Con tutti i Pikiu era così, vedevano altro, sapevano. Sapevano e per questo erano rimasti in silenzio.

Lei pure restò in silenzio, non sapeva che dire, se non aspettare, mentre il Pikiu picchiettava, picchiettava e picchiettava.

Lo scalpello poi si fermò, il bancone fu ripulito con uno, due, tre colpi. Il Pikiu prese il pezzo, mise sul capo gli attrezzi e saltò dalla sedia. Andò verso il piano di colorazione, prese altri strumenti e continuò il lavoro. Era veloce, piccolo e agile. Per questo erano i migliori artigiani.

Restarono in silenzio, ancora, osservando il suo lavoro, ma con la mentre altrove. La sua sapeva dove fosse, quella di Alaya, forse, era più lontana.

Una frase le venne, poteva finalmente distrarle.

«È veloce, davvero. Chissà se hai inserito anche il pesce rosso.»

«Io spero non ci sia il pupazzo, è terribile.»

Sorrise, amaramente. Era ironia, la sapeva riconoscere in Alaya. Le piacque che ci provasse, che facesse sembrare tutto normale. Commenti sprezzanti sulle sue scelte, commenti sprezzanti con Sander, tutto come sempre. Ma non per sempre.

«Ha solo la testa grande, non è così terribile» disse, toccando la testa del pupazzo.

Era morbido, forse pacchiano, ma simboleggiava quella serata, l'ultima tra tante. Gliela avrebbe ricordata, assieme al resto.

«Forse hai ragione» rispose Alaya, sorridendole timidamente.

Ricambiò e il silenzio calò di nuovo. Pace fragile risuonava tra di loro, fissata per non rompere il precario equilibrio.

Un sibilo attirò la loro attenzione, un suono estraneo: il Pikiu aveva finito, era di nuovo sulla sedia, ritratto in mano. Il pupazzo c'era, con la sua testa sproporzionata; il pesce rosso c'era, dentro il sacchetto; c'erano due ragazze vicine ma diverse; una aveva capelli candidi, lunghi, e due occhi lillà su di una pelle diafana; l'altra aveva capelli castani, lunghi sull'abito con una treccina a contrasto, occhi scuri su pelle rosea. Era perfetto, fissato nel tempo, in quell'istante.

«È... è perfetto» disse, sorpresa, incredula.

Per caso, per coincidenza aveva scelto la bancarella giusta.

«Vorrei un'altra copia» chiese Alaya, gesticolando.

Sorpresa nuovamente: aveva apprezzato e capito: quell'istante doveva essere per entrambe.

Il Pikiu annuì e si mise all'opera. Lei cercò il portamonete, per pagare con gli ultimi spiccioli. Il bancone lo raggiunse assieme ad Alaya, con la stessa somma di denaro. Stessa idea per la seconda volta. Si guardarono, una doveva cedere.

Durò poco la sfida: lo sguardo intimidatorio di Alaya vinceva sempre, ogni volta.

Ritirò i soldi, accettò che pagasse lei.

Il Pikiu mise i ritratti in due sacchetti, uno a testa, quasi sapesse. Alzò la mano, per salutarlo, serena, ma lui sgranò gli occhi, quasi preoccupato.

Si bloccò, forse preoccupata pure lei.

«Alaya, ti stavo cercando.»

L'illusione si ruppe in un istante. Il tempo era finito, la realtà stava facendo capolino. Era stato un ultimo momento, insieme, ora sigillato per sempre in un'eternità che non le apparteneva.

«Dopo i fuochi di artificio, ti avevo detto.»

Le lancette ripartivano anche se per poco. Alaya aveva ricomposto i pezzi e l'aveva portata con sé. Non era pronta neanche lei.

Stay with Me - Krys Talk RemixTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang