83 Capitolo 2

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Camilla

Mi sveglio e lei si sta vestendo. "Hey, dove vai?"
"Devo andare al lavoro"
"Hey, io non posso stare qui però" "Non ti ho mica obbligata"

"È vero, però.."

"Devi andare da qualche parte di specifico?"

"Ora no, però.. Ahí che mal di testa"

"Non ti è ancora passata la sbronza?"

"Più o meno, comunque non voglio che vai via lasciandomi a casa tua da sola"

"Se vuoi ti porto da qualche parte, un hotel o qualcosa se non hai posto dove andare"

"Si, credo vada bene per l'hotel"

"Va bene, io finisco di prepararmi, se hai bisogno del bagno è la stanza in fondo al corridoio mentre la cucina è la porta qui di fronte, serviti pure se hai fame"

"In effetti ho un po' di fame, grazie"

"Di nulla. Tra 30 minuti dobbiamo partire però"

"Farò in fretta a mangiarti tutta la dispensa"

Lei sorride. "Ah grazie"

Mi alzo dal letto e mi reco in cucina mentre lei finisce di cambiarsi.

Chissà che lavoro fa.

Vorrei farle miliardi di domande, ma mi limito ad aprire la dispensa e cercare di trovare qualcosa per fare colazione.

Non sarà casa mia, ma non si può dire che non farò una colazione abbondante.

Lei si affaccia sulla porta della cucina. "Hey.. Ti volevo chiedere.."
"Si?"
"Stai bene?"

Quella frase mi faceva tornare a mente quello che provavo prima, ad un certo punto ho iniziato a pensare 'si sta bene così', ma non significava che stavo davvero bene, forse mi ero solo abituata al mio stato d'animo e ciò mi faceva dire senza pensarci 'va tutto bene' alla domanda 'come stai?', ma dirlo equivale a non stare mai da sola, perché solo chi come me ha il coraggio di dire 'cazzo, va tutto male', sa cosa si prova a sentirsi veramente soli.

Le persone non capiranno mai la solitudine che provo.
'Sei circondata di persone che ti vogliono bene' mi dicono.

'Si, e quindi? Pensate che ciò basti a colmare questo vuoto che sento dentro sempre?'

Quindi rispondo "Si, sto bene" perché solo così ho la certezza di rimanerle sconosciuta e non avere più la possibilità di rivederci.

Ogni volta che mi lego a qualcuno, mi sembra di perdere una parte di me. "Okey menomale" mi risponde, ma noto una faccia un po' triste.

E quella faccia triste mi ricorda quelle volte che volevo aiutare qualcuno che stava soffrendo, ma mi ritrovavo nella freddezza di chi non vuole condividere il proprio dolore, ma non me la sento di parlarle di me, però mi decido di chiederle "E te come stai?"

Ma lei non sente la domanda, è troppo impegnata a preparare il suo zaino di lavoro. Poi mi guarda.
"Io mi chiamo Emma comunque, te? Oppure il tuo nome deve restare un segreto?" "Mi chiamo Camilla"

Mi continua a guardare distrattamente. "Perché mi guardi così?"

"Non ti fidi facilmente delle persone, vero?"

"Le persone che ti salvano, ti distruggono più in fretta di chi ti vuole davvero ferire."

"Me ne ricorderò"

"Cosa intendi?"

"Dai andiamo, è ora di partire"

"Okey"

Usciamo di casa e saliamo sulla sua macchina.

Non me ne intendo di macchine e motori, ma mi pare la sua auto sia abbastanza costosa.

Non mi sono mai interessati i soldi, quando una persona ti concede tutte le sue attenzioni, per me è il regalo più prezioso e mi rende più felice di qualsiasi gioiello o borsa di marca.

Nel tragitto non parliamo, esattamente come fanno due sconosciute che non si vedranno mai più.

Chiudi gli occhi e quando li riapro sono arrivata a destinazione : un hotel qualunque. "Non sapevo se avevi preferenze e quindi ti ho portato a quello più vicino"
"Non dovevi neanche disturbarti grazie"
Apro la portiera.

"Camilla aspetta.."

Fidati di meWhere stories live. Discover now