Capitolo 25

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GRACE


Dopo quel bacio, Caleb fu trascinato via dai suoi compagni di squadra, lasciandomi lì imbambolata a realizzare quanto fosse successo. Per il resto della serata non lo vidi più tranne quando, verso le tre del mattino, se ne andò barcollando con la barbie. La loro immagine rimase viva nella mia mente anche quando toccai il mio letto e provai a dormire.

Ormai ero arrivata al punto in cui non capivo se odiassi più lui per i suoi comportamenti altalenanti o me stessa per il fatto che, qualunque cosa facesse, suscitava in me sentimenti decisamente compromettenti. Non sopportavo l'incoerenza nelle persone e ora ero la prima ad esserlo.

Scossi la testa e sbadigliai guardando l'orologio: le tre del pomeriggio. Decisi che avevo dormito abbastanza e mi stiracchiai per alzarmi. In quel momento, il telefono sul letto cominciò a vibrare. Mi misi a cercarlo scostando le coperte e lanciando i cuscini a terra e, quando lo trovai, risposi a Melanie.

«Pronto?» gracchiai con la voce ancora roca dal sonno.

Lei ridacchiò «Buongiorno, dormigliona. Ti sei ripresa dopo ieri sera?»

Sbadigliai ancora «Mi sono svegliata tipo dieci minuti fa, tu che dici?»

La sentii sospirare, poi un cassetto si chiuse «Perfetto! Vestiti, ci vediamo da Starbucks tra mezz'ora.» e detto questo riattaccò, consapevole che se mi avesse lasciato il tempo di ribadire qualcosa avrei rifiutato l'invito. Era scaltra, quella stronza.

Mi alzai e strisciai i piedi fino al bagno, mi lavai i denti e pettinai i capelli, poi decisi di legarli in una treccia morbida. Misi un paio di jeans neri, una maglietta a maniche lunghe grigia e le Stan Smith bianche. Non avevo per nulla voglia di truccarmi, misi solo una crema idratante sul mio povero viso stanco e qualche goccia di profumo prima di afferrare il giubbotto e uscire di casa.

A metà tragitto incontrai Amber e la salutai «Ehi, scusa se non ti ho aspettata, pensavo dormissi ancora e dovevo fare delle commissioni prima di arrivare al bar.»

Liquidai la cosa con un gesto del capo «Tranquilla.»

Ci fermammo ad un incrocio e aspettammo che il semaforo diventasse verde. In quel momento, un paio di ragazzi ci vennero addosso e mi diedero una spallata che mi fece indietreggiare di qualche passo. Strizzai gli occhi e afferrai istintivamente uno dei due per la giacca «Guardate dove andate, stronzi.» sbottai.

Quello che tenevo arpionato per la giacca mi squadrò da capo a piedi, poi sorrise mostrando uno smiley bianco sopra ai denti «Calmati, bambolina.»

Amber si schiarì la voce e tentò di farmi allontanare «Lascia perdere, andiamo.»

Non l'ascoltai, ormai la mia pazienza aveva raggiunto il limite. Ovviamente, fare le ore piccole ad una festa e incontrare due coglioni appena sveglia non era un'accoppiata vincente per me.

«Bambolina? Davvero? Hai il quoziente intellettivo di un piccione per inventarti un nomignolo così banale?»

Il ragazzo smise di sorridere, mentre l'altro sghignazzò. Lasciai la giacca e mi voltai.

«Dovresti tenere al guinzaglio le tue bestiole, Francy.» disse allora il ragazzo che fino ad allora era rimasto in silenzio a godersi la scena.

Non capii a cosa si riferisse, ma ormai il semaforo era diventato verde e Amber mi trascinò dall'altra parte della strada.

Arrivate da Starbucks, incontrammo Melanie fuori dal bar con il telefono all'orecchio.

«Siete arrivate, finalmente!» sbuffò creando una nuvoletta di fumo. Quel giorno faceva abbastanza freddo.

La mia vita è un clichéWhere stories live. Discover now