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«Posso rimandare.»

«Si tratta di una cosa importante.»

«È più importante venire con te.»

Da quando ieri ho ricevuto quella telefonata dall'ambulatorio, Nicolò non fa altro che insistere nel volermi accompagnare. Non che io non voglia, ma coincidenza ha voluto che l'appuntamento combaciasse con un altro incontro che lui aveva in programma da tempo. Insieme a Dylan e gli altri loro amici, devono discutere di un nuovo album da incidere, con idee sui beat e i featuring. Mi ha insegnato molte parole nuove ormai. Comunque forse è meglio così. Semmai dovesse risultare effettivamente Roberto il padre, avrei bisogno di stare da sola, almeno qualche ora. Prima accompagnerò Nicolò a casa di Pyrex, dopodiché con Mattia mi dirigerò verso la clinica, dove i risultati degli esami mi stanno già aspettando. Più tempo passo seduta su queste sedie d'attesa scomode, più tremo di paura. Mi calmo appena, quando leggo dei messaggi di Nicolò, arrivati tutti insieme ora.

-A prescindere da tutto, io rimango accanto a te. Qualsiasi debba essere l'esito.
-Tra due settimane diventi mia moglie, solo tu puoi decidere di cambiare idea, ma non voglio che qualcuno o qualcosa ti influenzi.
-Ora sono arrivati gli altri, non posso stare al telefono
-Appena finisci chiamami comunque, mi metto da parte e rispondo
-Ti amo

Non rispondo solo perché non sono capace a rispondere in queste situazioni, ma il sorriso dal volto non me lo leva nessuno. Poi finalmente sento il mio cognome. Un'infermiera esce solo per scandire 'De Luca', e poi mostrarmi la direzione da seguire, non appena mi alzo. Attendo qualche minuto, seduta sul lettino, mentre dondolo il passeggino a Mattia.

«Eccomi, scusi per l'attesa.» è la prima cosa che dice a fiato corto la dottoressa. Sembra aver molto lavoro, tanto da non aver nemmeno il tempo di fermarsi un attimo.

Alla scrivania, maneggia diversi secondi al computer, per poi analizzare pagine di documenti in modo rapido. Dalla stampante escono più fogli, uno dietro l'altro, che lei subito unisce con la pinza dividendoli in due gruppi, e poi mi passa. Credo uno rimanga a me, e l'altro sia per l'ambulatorio.

«Allora, la parte che più ci interessa é qui.» con gentilezza si porge verso di me per leggere meglio e col dito indica una breve riga, appena sotto un'enorme tabella. «Qui c'è scritto il risultato.»

Leggo 'Probabilità di paternità: 99,99999%'. Non riesco a contenere la felicità. Ho fatto un errore che non mi condizionerà niente in futuro. Firmo dove mi dice, entrambe le copie. Anche Mattia ride per come euforica cammino e gioco con lui. Appena arrivo in macchina, lo sistemo legandolo con parte del passeggino sul sedile del passeggero, e mentre parto, dopo aver attaccato il cellulare agli auricolari bianchi, chiamo Nicolò. Ci mette diversi squilli a rispondere, penso giusto il tempo di appartarsi in qualche stanza.

«Ehy.» non aspettava altro che questa telefonata. «Già finito?»

«Sì, sono in macchina ora.»

«Monica? Pronto?» rimango confusa, penso non mi senta.

Le cuffie devono avermi abbandonata definitivamente, è già da tempo che mi davano problemi. Non ho molte scelte. Anche se non si dovrebbe fare, le stacco dal cellulare e porto quest'ultimo all'orecchio. Basterà stare attenta più del solito alla strada.

«Mi senti ora?»

«Sì, ora sì. Quindi? Com'è andata?»

«Diventerai di nuovo papà.» dico contenta, quasi urlando.

«Quindi io?» chiede per conferma felice.

«Sì, sei tu.»

«È Mo'?» sento Dylan sottofondo.

«Sì.»

«Che dice?»

«È nostro.»

«Siete dei cazzo di conigli, metti vivavoce che la voglio sentire.»

«Pronto?» dico ridendo.

«Lo chiamate Dylan questo, vero?»

«Certo, speraci.» commenta Nicolò.

«Dobbiamo festeggiare, vieni qui a casa mia, con tutti.» propone il nostro amico.

«Ok, tra poco sono lì.»

Dovevo stare solo più attenta alla strada, avevo pensato prima. E così ho fatto, davvero. Non è stato mio l'errore, se quel camion alla mia destra dell'incrocio aveva troppa premura che il semaforo diventasse rosso, una volta scattato l'arancione. Frenare per me non ha cambiato molto. Ma non è colpa mia se adesso la macchina di Nicolò è completamente schiacciata e nemmeno piu appoggiata alle sue quattro ruote. I vetri sono tutti o distrutti o completamente crepati. Guardo Mattia, e una madre dovrebbe riconoscere in volto il figlio. Ma io non ci riesco più. Non penso respiri ancora. Non riesco comunque a collegare troppo ciò che succede e vedo intorno a me. Anch'io mi sento piena di sangue. Non c'è punto in cui non mi senta tagliata o dolorante. Pure la testa, forse soprattutto lì. Non ho forze. Non è come le altre volte. In questo momento non ho nemmeno la volontà di cercare le forze che mi servirebbero per uscire da qui.

«Monica? Cos'è successo? Monica?» continua a chiedermi Nicolò in crisi.

Vorrei rispondergli, ma non ci riesco. Vorrei almeno dirgli che anch'io lo amo. Prima non gliel'ho detto, in sala d'attesa. L'ho letto e non ho risposto. Piano piano chiudo gli occhi, e inizio a non sentire più niente intorno a me. Solo mi appaiono decine di immagini. Forse queste, senza che io lo sapessi realmente, mi hanno sempre accompagnata. Vedo me da bambina, ridere e giocare con i miei genitori. Anche mia madre, non pensavo di poter ricordare tale episodio. Poi mio padre, starmi accanto sempre dopo la morte di mamma, Marianna che non mi ha mai trattata diversamente che come una figlia. I miei amici, Roberto, Dylan, Sara, che per me ci sono sempre stati e con cui ho passato tanti bei momenti. E poi lui, Nicolò Rapisarda. L'uomo che mi ha stravolto completamente la vita, facendomi conoscere l'amore in ogni sua sfaccettatura. Mi viene in mente ogni bella immagine che del nostro rapporto mi é rimasto. Il primo bacio dato a letto, la prima volta in cui non abbiamo più fatto sesso ma amore, la nostra notte romantica la sera prima della nascita di mio fratello, la sua premura e il suo esser così bravo a dimostrare i suoi sentimenti sia nei miei confronti che in quelli di nostro figlio. Sarebbe stato un padre fantastico, per entrambi, ne sono certa. Avrebbe potuto insegnare loro tante cose. Avrebbe potuto continuare a insegnare anche a me tante cose.

Il resto non mi importa ||Tony Effe||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora