Insieme abbiamo tutto cap.44

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Steve

Cameron è silenzioso, sembra che il suo corpo sia qui vicino a me, invece la sua mente è altrove. È inesistente in questo momento.

Lo guardo sistemarsi sul sedile della sua auto, mentre io lo raggiungo sedendomi sul lato passeggero.

E nonostante la paura, decido di salire un'altra volta su una macchina.

Perché ora come ora non lascio Cam, fino a quando non si decida a dirmi qualcosa.

«Mettiti la cintura!» Spezzo il silenzio, e lui... non mi degna nemmeno di uno sguardo.

«Lo so, tranquillo.»

E continua a non guardarmi, mentre io provo a cercare qualcosa dentro il suo sguardo, o nella sua voce.

Ma niente.

È vuoto, perso... e non capisco perché.

«Guida bene, per favore.»

«Potrei mai guidare male, soprattutto con te qui dentro?» Stavolta mi guarda, ma continuo a non vedere nulla dentro di lui.

La cosa mi terrorizza.

«Prevenire è meglio che curare.»
E in quel preciso istante gli appoggio una mano sulla coscia, per un momento ho pensato che me la stesse stringendo...

Invece lui la scansa.

Come se avesse preso la corrente.

E io invece mi sento paralizzato.

Come se la scossa l'avessi presa io.
Con la mano rivolta verso l'aria, completamente ustionata da tale indifferenza.

E adesso capisco, capisco come lui si sia sentito, e se potessi tornare indietro non lo rifarei.

Perché fa schifo sentirsi maledettamente ignorati dalla persona che si ama...

Abbasso la mano.

I miei occhi non smettono di guardarlo.

E lui mette in moto.

E poi... il mio sguardo si concentra sulla strada che scorre velocemente.

Un po' come tutta la dolcezza che fino a questa mattina mi ha dedicato.

E cosa peggiore di tutte, non capisco dove io abbia sbagliato...

Perché per comportarsi così qualcosa deve essere pur successa.

E improvvisamente mi sento lo stomaco sottosopra, mi viene da vomitare.

Sento il panico salire.

Apro il finestrino, per poi uscire la testa fuori da esso per prendere un po' d'aria.

Chiudo gli occhi e cerco di calmarmi.

«Steve, tutto bene? Vuoi che mi fermi?»

Le mie iridi si aprono lentamente.

E finalmente noto qualcosa nel suo tono di voce: preoccupazione.

Ma è trattenuto, come se si stesse preoccupando, ma qualcosa in lui lo blocca.

«Va tutto bene, grazie.»

Mento. A dirla tutta sono impaziente di arrivare a casa per capire cosa gli prenda.

Distoglie lo sguardo da me molto velocemente.

E fra pensieri persi chissà dove siamo ufficialmente arrivati a casa sua.

«Vuoi che ti lasci a casa?»

«Non vuoi che rimanga?»

«Tu vuoi rimanere?»

"L'Angelo e il Diavolo"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora