CAPITOLO 13

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And this urge to run away from what I love is a sort of sadism I no longer pretend to understand

Come se non fosse successo niente.
Cassandra aveva costretto la sua testa a dimenticarsi dell'incontro con Aron, delle cose che avesse provato quando stavano per baciarsi, dell'attacco di panico. Era quella, la cosa che l'aveva terrorizzata di più: da piccola ne aveva sofferto per anni, dopo la morte dei genitori era stato un continuo sentirsi male, ovunque, arrivavano all'improvviso; con il tempo aveva imparato a riconoscerne i sintomi e li gestiva abbastanza bene, ma era comunque una sensazione terribile. Decise di tenerlo nascosto, Klaus avrebbe insistito per mandarla da qualche psicologa o, ancora peggio, avrebbe chiesto aiuto a Lidia. Era tornata a casa, se ne stava nel salotto del piano superiore, quello che usavano loro due per passare il tempo e stava scorrendo su Netflix alla ricerca di qualcosa da guardare. Nulla riusciva a suscitare in lei alcun interesse, pensò che fosse meno noioso il tempo che passava al maneggio. Controllò dal cellulare le mail per guardare se Polly le avesse mandato qualcosa, nulla. Le gambe erano stese in avanti sul poggia piedi, la schiena abbandonata contro i cuscini antichi del divano. La stanza era illuminata solo dalla luce calda del camino, e dal lume in ceramica poggiato su un tavolino accanto.

Davanti a lei, su un altro tavolo, il sushi avanzato. Aveva deciso che se l'era meritato, ma ne aveva ordinato troppo. « Cassandra. » Klaus entrò, era visibilmente stanco ma sapeva bene che lei non potesse chiedere perchè. Le avrebbe risposto male, o non le avrebbe risposto proprio.
« Mh. »
« Che storia è quella del maneggio? Ora fai l'assistente di Polly? » E figurati se era contento.
« Si, mi piace. »
Lui incrociò le braccia al petto. Non si aspettava una reazione simile, o che a Cassandra piacesse lavorare. « Ti piace? » Forse non era stata una cattiva idea quella di farla stare con Polina.
« Si, è quello che ho detto. »
« E di cosa ti occupi? » Nella voce gli lesse il tono di uno che non si fidava, chissà che diavolo pensava lei avesse architettato, pur di sfuggirgli.
« Devo darle una mano con un evento, mi deve ancora mandare i dettagli ma è uno di quelli per le associazioni che interessano al tuo amico, Aron. »
Lui sembrò non crederci. Alzò le sopracciglia. « Cioè ti mette a fare una cosa cosí
importante? »
« A quanto pare l'unica che pensa che io sia una stupida incapace sei tu. » Non lo guardò neppure, rimase con l'attenzione ferma sullo schermo della tv, fu tagliente, voleva che si sentisse uno schifo.
« Non penso che tu sia una stupida incapace, è che— »
Non gli fece terminare il discorso, si voltò per agredirlo. « Mi dici sempre che devo diventare responsabile, tutte 'ste cazzate, mi trovo un lavoro, ti dico che mi piace e non va bene? »
« Non è quello. » Cosa, allora? Di che aveva paura, Klaus? Che Cass diventasse davvero indipendente, che non avesse più bisogno di lui?
« E allora cosa? »
«Niente, poi fammi sapere se hai bisogno... »
« Non ho bisogno del tuo aiuto, ho bisogno che ti fidi di me. » Fu strano dirglielo, era una delle cose principali che distruggeva il loro rapporto ma non aveva mai trovato il coraggio di spiegarglielo.
Era difficile.
Adesso si sentiva più leggera, anche se non era certa lui avrebbe compreso. Anche La Volpe aveva dei limiti, forzarli non era mai giusto. Stette zitto, darle ragione sarebbe stato troppo, eppure era quello che pensava. Forse parlare con Lidia era stata davvero la cosa migliore da fare.

« È avanzato del sushi, se lo vuoi. » Lui fece per risponderle male, dirle che non fosse opportuno mangiare in salotto, sul divano. Poi ripensò alle parole di Lidia, quel sushi se lo sarebbe mangiato a forza. Doveva smettere di pensare a Cassandra come una cosa da proteggere, una neonata, una responsabilità e vederla come un essere umano.

« Si, dai. » Si tolse la giacca e piegò le gambe per raggiungere l'altezza del tavolino. Prese le scatolette di plastica trasparente e le bacchette che lei aveva usato e lasciato tra gli avanzi. Forse un momento cosí non l'avevano mai vissuto. Era come se non fossero mai stati amici.
Lei divenne tesa per qualche secondo, d'istinto le venne di allontanarsi, poi lo guardò e pensò fosse suo fratello, la persona che più di tutte l'aveva protetta, aiutata, ad ogni costo. Sempre.

REBORNWhere stories live. Discover now