CAPITOLO 34

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It takes a monster
To destroy a
Monster

Aron Nowak era sempre stato un tipo solitario, eppure adesso la solitudine in cui s'era cacciato pesava su di lui come un macigno insostenibile. Trascorreva le giornate a controllare se le attività che usava per riciclare il denaro sporco funzionassero; ogni tanto passava vicino alla casa famiglia dove era cresciuto, ma non aveva mai il coraggio di entrarci. Poi c'era sua sorella, aveva scoperto che era felicissima, non sembrava benestante ma neppure povera come si aspettava, aveva una figlia e viveva con un compagno, forse un marito. Si somigliavano davvero troppo e se lo sarebbe dovuto aspettare, ma non era pronto a rivedere la sua faccia su un'altra persona, non era abituato. La figlia era bellissima.
Aveva capito che sua madre le avesse fatto un regalo, a lasciarla libera. Si maledì mentalmente per averlo pensato, ma era così.

Non aveva ancora trovato il coraggio di raccontarle la verità. Perchè metterla in mezzo ai suoi disastri? Faceva la parte di quello risoluto, ma era facile quando accanto a lui c'era Klaus. Ora si sentiva perso. Che cosa doveva fare? Aveva promesso a Polina che le avrebbe riportato sua figlia, ma non era giusto. Pensó di scriverle una lettera, non era bravo in queste cose.
Perse tempo fino al pomeriggio, quando era già passata l'ora di pranzo.

Alla fine decise semplicemente di raggiungerla dove lavorava, forse lì si sarebbe sentita più al sicuro. Entró e non la vide subito, cercó di sembrare il meno minaccioso possibile, quasi insicuro. Era la prima volta che per una missione non gli serviva sembrare un mostro. « Buon— » Lei si fermó subito, lo vide in volto e nello sguardo le si accese qualcosa di strano. « Buongiorno... »
Le sorrise. Sembrava dolce. « Buongiorno. »
« Deve ritirare qualcosa? »
« No, veramente no. Mi chiamo— » Esitó, aveva senso dirle il suo vero nome? Ma che diavolo andava a pensare. « Mi chiamo Aron Nowak. » Quella sbiancó subito. Che sapesse già? Aveva i capelli dorati, identici a quelli di Aron, e lo sguardo, gli occhi, le labbra, rubati a quelli di loro padre. « Sto per dirti una cosa che ti sembrerà assurda, ma ti giuro che non sono un pazzo. » Restó zitta. Non sembrava spaventata. « Mia madre è Polina Nowak, e mio padre... non so il suo nome. Sono nato il venti dicembre di trentatrè anni fa. »
« Non vedo come posso esserti utile. » Sembrava agitata. Si mise a piegare dei maglioni dietro il bancone. Lesse il nome sul cartellino appeso sulla maglietta: Marina. Era lei.
« Probabilmente esiste un modo migliore per dirlo, ma io non lo conosco. » Prese un respiro profondo e poi cercò il coraggio da qualche parte dentro di lui. Tremava d'ansia. Abbassò la testa e poi la tirò su. « Sono tuo fratello, e non voglio niente, non— »
« ...Non ci credo. » Uscì dal bancone per avvicinarsi a lui. Camminò lentamente, esitava ad avanzare, come se Aron non fosse umano. Doveva essere strano anche per lei. « Allora sei tu. »
« Si, sono io. » Sembrava più sorpreso di lei. Il petto gli si riempì d'ansia, non aveva più la situazione sotto il suo controllo.

Lei stava per commuoversi. « Ti ho cercato ovunque... ma non sapevo proprio dove andare, non parli come me, hai un accento diverso. » Davvero? Aron provò un sentimento nuovo, calmo e gentile. Non era arrivato a scuoterlo forte come le emozioni che provava di solito, era contento.
« Vivo a New York, ho perso un po' di
polacco. »
Abbassò il viso per un attimo. « Allora era davvero impossibile che ti trovassi, non ci sarei mai arrivata fin lì. » Sorrise, era così bella, la versione migliore di lui. Abbassò lo sguardo, se fosse stato un altro l'avrebbe abbracciata. Ma non sapeva come si facesse.
« Io non sapevo che tu esistessi, l'ho scoperto un paio di settimane fa, mia— nostra, madre credeva fossi morta. » Se n'era convinta. Si grattò il naso con una mano. Una sensazione strana gli solleticò gli occhi e gli indurì la gola. Ti stai per caso per commuovere anche tu, Nowak?
« Quindi anche lei è ancora viva? »
« Si, esatto. »
« E nostro padre? » Quindi lei non sapeva nulla? Non ricordava che mostro fosse, non sapeva le storie che Polina non le aveva mai raccontato. Non aveva mai visto sua madre distrutta. Forse era quello, che la rendeva felice.
« Non so neanche il suo nome, te l'ho detto, Polina non vuole che se ne parli. » E neppure lui, in tutta onestà. Lei rimase un po' spiazzata, si stava per addentrare nella mente difficile di suo fratello. Per quanto avesse avuto un'infanzia peggiore della sua, forse alla fine qualcuno l'aveva amata davvero, senza troppe condizioni.
« Non andavano molto d'accordo. » Stava per dirle che fosse quella, la ragione per cui erano stati abbandonati ma forse non era pronta a sentirla.

REBORNWhere stories live. Discover now