Capitolo 40 ~ Coco

12 5 0
                                    

Non lo capisco, è una cosa che non ho mai capito, nemmeno nella mia precedente esistenza. Cavalieri e Guardiani hanno scopi solo all'apparenza diversi e inconciliabili, ma in fondo non cerchiamo forse entrambi di fare del nostro meglio per proteggere coloro che ci vengono affidati?

Sì, ci siamo scontrati, e sicuramente le lunghe, interminabili guerre che ci sono state tra noi non hanno giovato alla distensione dei rapporti, ma io non odio certo i Guardiani in quanto tali. Davvero non capisco come quel micio rabbioso possa provare tanto disprezzo per me e per Cain senza averci mai conosciuti. Cain è rimasto prigioniero per cinquant'anni, non credo proprio che abbia avuto modo di fare qualcosa per infastidirlo, e io mi sono Risvegliata solo pochi giorni fa. Gli ho dato un pugno, questo è vero, ma solo perché lui mi ha provocata, e la mancanza di rispetto è una cosa che proprio non riesco a mandare giù.

Una volta che mi avrà conosciuta potrà anche detestarmi come persona, ma odiarmi solo in quanto Cavaliere...no, questo proprio non riesco ad accettarlo. Io non odio i Guarduani, ma li ho sempre trovati alquanto ottusi. Possibile che non si rendano conto che noi, tutti noi, insieme, siamo indispensabili per mantenere l'equilibrio nel mondo? Anche Solange lo pensava: sulla Terra c'è spazio per tutti. È uno dei suoi, dei nostri, più grandi rimpianti, non aver sempre agito sulla base di questa convinzione...no, buio completo. C'è un tassello che manca, un ricordo che ancora non vuole riemergere. O forse sono io che lo rifiuto.

So che Cain non era il mio Vampiro, ma a chi avessi offerto la mia alleanza nella mia vita precedente...questo non lo ricordo. Va bene così. Tutti i ricordi tornano, prima o dopo. Anche quelli di cui vorremmo liberarci, quelli così dolorosi da distruggerci. Quando ne avrò bisogno, quando sarà necessario per proteggere me o il mio Vampiro, allora ricorderò. Per ora cercherò di limitarmi a godermi il momento.

A parte l'incontro con il micio rabbioso è stata una serata splendida. Abbiamo passeggiato a lungo, senza parlare. Ci sono luoghi e momenti in cui le parole non servono, in cui il silenzio diventa prezioso. Le nostre mani si sono più volte sfiorate, le dita in alcuni casi intrecciate, ma nulla più. Il mio cuore era leggero, felice, un'ebbrezza che solo i luoghi di potere, quelli in cui la magia ancora permea la terra, l'acqua, l'erba sanno dare.

Siamo rientrati che erano già le due di notte passate, ma non sentivo affatto la stanchezza. A quanto pare non solo posso fare a meno di mangiare, ma anche il sonno non è più una necessità fondamentale. Un indubbio vantaggio, non c'è che dire.

Siamo andati a dormire non appena rientrati, coricandoci di nuovo fianco a fianco nel letto dei miei genitori, più ampio e confortevole.

Mentre ce ne stiamo sdraiati, mi viene in mente un piccolo dettaglio che avevo momentaneamente dimenticato. «Domani tornano i miei!» esclamo, dando voce al pensiero improvviso.

Lui si alza a sedere di scatto, di nuovo del tutto vigile.

«Domani?» mi domanda in un sussurro.

C'è qualcosa, nella sua voce, una sfumatura che non riesco a identificare.

Annuisco. «Me ne ero completamente scordata. Non potremo più dormire qui, mi sa» aggiungo.

Non so perché, ma sento il bisogno di alleggerire l'atmosfera. Sarà l'improvvisa serietà del suo sguardo, o forse quella strana tensione che d'un tratto percepisco nella sua figura. Va bene, tornano i miei genitori, ma non è certo un dramma questo, no?

Cain mi fissa, il viso impenetrabile, ma quella calma è turbata dall'inquietudine che vedo balenare nel suo sguardo.

«Seriamente credi che questo sarà il più grande dei nostri problemi?» mi chiede pacatamente.

Lo guardo senza comprendere.

Lui sospira profondamente. Scuote il capo poi, con un piccolo sorriso indulgente, mi dice: «Pensi sul serio che i tuoi genitori accetteranno docilmente quello che è successo? Che acconsentiranno benevolmente a tenere in casa uno come me, uno che per sopravvivere deve periodicamente salassare la loro figlia?»

«Ma io sono il tuo Cavaliere, fa parte dei miei compiti fornirti un adeguato sostentamento. Loro...»

«Loro capiranno?» conclude lui per me.

Non c'è derisione nella sua voce, solo profonda amarezza. Mi posa una mano sulla guancia e mi fissa intensamente negli occhi.

«Sarebbe la prima volta da che io vivo. Nessuna famiglia umana può accettare una cosa del genere. Mi cacceranno, ti intimeranno di abbandonarmi. Tu allora dovrai scegliere: non si può essere contemporaneamente Cavaliere e figlia».

Frugo disperatamente nella memoria, alla ricerca di qualche argomentazione logica con cui contraddirlo. Una volta era una grande onore avere un Cavaliere in famiglia. Ho letto delle storie al riguardo nella biblioteca di Palazzo. Solange le ha lette, o magari si trattava di una delle tante me stesse che sono esistite prima di lei. Purtroppo però si parla di molto, molto tempo fa, cose che succedevano prima che i Figli dei Millenni accettassero di vivere nascosti tra gli Umani.

Mi arrovello il cervello. Solange! Non sarà stato così traumatico per lei, no? Era più grande di me quando è diventata Cavaliere, di certo non sarà stato il dramma che Cain vuole dipingere.

La memoria fluisce prepotente, resa amara dalla colpa. No, niente tragedie, ma era una donna adulta con un marito che, semplicemente, un giorno se ne è andata di casa. Il senso di colpa però non è per lui, oh, no, è per l'altra persona che si è lasciata alle spalle. Il flusso dei ricordi si interrompe prima che io possa scoprire di chi si tratta, ma avverto forte un sospetto. Se ho ragione, potrei essere stata un tantino stronza nella mia vita precedente: che pensiero sconfortante.

Cain si morde piano il labbro e, dopo un attimo di esitazione mi cinge in un abbraccio delicato, mormorandomi all'orecchio: «Mi dispiace. Sappi che non sei obbligata. Voglio dire... se tu volessi... insomma... io capirei se...»

Mi sciolgo dall'abbraccio e gli poso un dito sulle labbra, interrompendolo.

«Ho fatto la mia scelta nel momento in cui ti ho visto e non cambierò idea ora. Non sono mai stata tipo da lasciare le cose a metà, e il Patto che unisce le nostre razze non è cosa che si possa fare e disfare a piacimento o con leggerezza. Lo sai benissimo: una volta stretto vale per la vita».

È questa la verità, pura e semplice. Nessuno più di un Cavaliere dovrebbe conoscere il significato della parola "responsabilità", e io lo devo a lui, a Solange e soprattutto a me stessa. Vorrei che capisse che, indipendentemente da quello che succederà domani con i miei genitori, io ho scelto la mia strada e intendo percorrerla fino in fondo.

«Sei sicura di questo? In fondo è la tua famiglia» insiste.

Non sarà indolore, e non mi lascerò alle spalle la mia vecchia vita senza rimpianti, ma questo è quello che voglio. Prima di posare gli occhi su Cain ero incompleta, me stessa solo a metà. La consapevolezza della mia vera natura, di quello che sono e che sono stata, ha riempito la mia vita di una luce nuova.

Lo guardo negli occhi, sprofondo in quel viola ultraterreno e sento il cuore che mi si gonfia nel petto, colmo di un sentimento spaventoso e meraviglioso, che affonda le sue radici indietro nel tempo di cinque decenni. Senza che me ne accorgessi ha fatto breccia in me, radicandosi a fondo come era radicato nel cuore di Solange. Voglio stare con lui. Non voglio rinnegare me stessa, i miei sentimenti e la mia vera natura. Se lo facessi, sarei condannata a vivere una vita a metà, una vita fatta di rimpianti.

«Preoccupiamoci di un problema nel momento in cui questo si presenta» dico io, con un piccolo sorriso che vorrebbe essere rassicurante.

Esito, poi mi avvicino al suo orecchio e aggiungo in un sussurro: «Per quelle scelte che Coco non ha la forza di compiere c'è sempre Solange».

******************

Riuscirà la nostra Coco a mantenere saldo il proprio proposito quando si troverà ad affrontare i propri genitori o la sua determinazione vacillera'? Lo scoprirete continuando a leggere 😁

This Is My SinWhere stories live. Discover now