Introduzione

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L'aria sembra digrignare i denti, il freddo è come degli aghi che si infilano nella pelle e ne riemergono trascinandosela dietro per poco, lasciandola all'infuori, come se sulle braccia restassero tante piccolissime dune di un deserto infinito.
Forse, su quel deserto, Alberto ci avrebbe camminato per molto tempo. Quella era l'intenzione fino a qualche mese fa, lo giurò su qualcosa, tuttavia non ricorda cosa. A pensarci bene, la promessa era stata infranta, e con essa l'elemento giurato si era annichilito. Forse Alberto aveva avuto troppe allucinazioni, vedeva pozze d'acqua ovunque, ma erano soltanto schizzi di sole, ed alla fine era morto di sete. Nel deserto fa caldo di giorno, e si congela la notte. Forse, ad Alberto avrebbe fatto comodo avere un palmo della mano che lo coprisse, come una coperta, nei momenti di gelo su quelle braccia aride e sabbiose. La coperta però, non arrivò.

La macchina faceva uno strano rumore, Alberto non avrebbe saputo spiegarlo al meccanico, ma non gli importava. Doveva assolutamente calmarsi, perché la macchina faticava già a portare la quarta, e lui era in sesta.
Era vecchia, un catorcio, un calesse.
Una macchina da famiglia, coi tappetini sporchi e le cinture consumate, i tergicristalli sul lunotto non si muovevano più.
Alberto aveva il viso quasi schiacciato al finestrino, a separarlo soltanto la sua mano molle, che si occupava di tenere tra l'indice e il medio rivolti verso il basso una sigaretta rollata di fretta, già consumata fino alla fine, spenta. Delle pagliuzze di tabacco pendevano miserabilmente dalla cartina abbrustolita disordinatamente. I suoi occhi segnati di sangue e di occhiaie scrutavano la macchia ingiallita sul filtro rivolta verso le sue labbra, come chi legge i fondi di caffè. Chissà che avrebbe interpretato, se solo non continuasse a martellare sulla sua fronte un solo nome.
Aveva scritto poco prima su un post-it
"Il tuo nome mi martella il cervello"
Poi lo ha strappato, perché non era vero: non stava affatto ripetendo insistentemente e psicoticamente quel nome.
Era più come una foschia, una nebbia rada ma fitta, dissipata ma soffocante, inebriante ma velenosa.
— Diana.
Come se la chiamasse, iniziò a bisbigliare il suo nome, e la rincorreva nei corridoi bui della sua mente.
Così tornava a vedere le labbra screpolate ai bordi, un occhio più chiuso dell'altro, e dalle palpebre fiorivano due bulbi bianchissimi, decorati da un'iride blu come il mare in inverno.
Lo sguardo non parlava, si era già esaurita ogni conversazione, ed era impenetrabile ed inascoltabile, mentre scorreva come fossero lettere stilate da un'abile dattilografa sulla macchina da scrivere, tra le righe del libro che leggeva.

Diana e la radiografia delle ovaie tagliata a forma di disco, Alberto e la canna nella vasca da bagno.
Diana ed il vestito di poliestere coi fiori, Alberto e l'anello della taglia sbagliata.
Diana e la libreria lunga quanto la parete, Alberto e la tastiera del computer con le lettere staccate.
Lo sforzo era così tanto, ma il tempo ed il caso sono sempre più forti.
Come l'allenamento non supera il talento,
come la competenza non supera il privilegio.

Ingiusto, ma è così che gira, ed è quello che succede per inerzia in questo mondo che siamo troppo avviliti per cambiare.
Così Diana e Alberto erano vittime di un pugno di ingranaggi che facevano girare le loro lancette in versi radicalmente opposti, ma incontrandosi regolarmente e combaciando perfettamente nell'entropia che erano i corsi delle loro vite.

Paglie | TananaiWhere stories live. Discover now