III

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La sera si respirava un'aria frizzante a Milano, oltre lo smog ed il fumo stantio sul cappotto di Alberto.
Lui stava girando una sigaretta, teneva ancora il filtro tra le labbra mentre strofinava il tabacco tra le dita per sgretolarlo un po' di più.
Diana lo aspettava appoggiata alla ringhiera del balcone, la sua giacca vecchia dell'Adidas le teneva le braccia poco calde, poiché era larga, ed entravano spifferi d'aria gelata dai polsi e dai fori delle maniche.
Non vedeva l'ora che Alberto uscisse, continuava a balzare sulle punte dei piedi mentre soffiava via un po' di fumo. Diana stava sempre attenta a soffiarlo via tutto e subito, o comunque a tempo debito, perché le sembrava disgustoso vedere uscire quei due sbuffi grigi dal naso.
Non le importava vederlo fare agli altri, ma su di lei, non lo sopportava.
Le sembrava da cafona.
Ricordava molto distintamente il viso unto e rubicondo di suo zio a Bratislava, che fumava sigarette industriali mentre gettava il mangime nel recinto delle galline. Quando parlava con suo papà, lo zio aveva un manierismo molto da adulto vissuto, che alzava le spalle e chiudeva gli occhi con quella strana passività mesta degli adulti. Mentre lo faceva, gettava via il fumo della sigaretta dal naso, prendendo la forma di quello che la piccola Diana sul triciclo azzurro immaginava come un dragone malvagio. Era diverso dal fumo che le capitava di vedere uscire dal naso casualmente nei ragazzi che come lei fumavano in università, o anche ad Alberto. Lo zio lo faceva di proposito, ed era un fumo bianco e fitto, grottesco.

Alberto era seduto dentro, aveva preparato comodamente la sigaretta sul tavolo da pranzo di Diana, e si era alzato appena aveva finito di posizionare il tabacco nella cartina, trascinandosi distratto verso il terrazzo.
Diana si voltò per osservarlo mentre spingeva giù con un dito il tabacco, per compattarlo nella cartina flessa.
Le dita pallide e lunghe della ragazza gli tolsero il filtro dalla bocca, con un movimento delicato e gentile, sfiorandogli appena le labbra. Gli occhi scuri di Alberto riflettevano le luci dei lampioni sulle strade, ed a Diana ricordarono un'amorevole piccola poesia di Tjučev, che narrava:
«Amo gli occhi tuoi, amica mia, E il loro gioco splendido di fiamme.
Quando li alzi all'improvviso e, come un fulmine celeste, Guardi veloce tutto intorno...»
Lei osservò il piccolo filtro di cotone, tra le dita non impegnate a tenere la sua sigaretta accesa. Stava pensando, rifletteva, lo dicevano le sue sopracciglia chiare concentrate.
Alberto la osservava in silenzio, immobile, attendendo che gli restituisse il filtro, che chissà per quale motivo gli aveva tolto.
Contro ogni aspettativa, Diana lasciò un veloce bacio sulle labbra di Alberto, per poi restituire il filtro e voltarsi di nuovo verso la ringhiera, ad osservare le falene che ronzavano attorno alle luci dei lampioni.
«Ma c'è un fascino più forte:
Gli occhi tuoi rivolti in basso, negli attimi di un bacio appassionato, E fra le ciglia semichiuse, del desiderio il cupo e fosco fuoco.»
Così continuava — e finiva, la poesia.

Alberto apprezzò il gesto inaspettato con un sorriso e scuotendo un po' la testa, mentre chiudeva la sigaretta.
Dopo averla accesa ed essersi sistemato comodo con un braccio attorno alla vita di Diana, lasciò che lei si appoggiasse al suo cappotto.
— Hai presente i profumi dei ricchi? Che hanno le note di tabacco, di armadio chiuso e umido? Di vomito?
Alberto alzò le sopracciglia ed iniziò a sbattere le palpebre ripetutamente.
— Diana, faccio puzza di vomito?
— No, solo di fumo.
— Ah, pensavo.
— Ma che pensi mai, tu?
— Finiscila. Quindi? Che hai coi profumi dei ricchi?
— Secondo te che studi antropologici ci sono dietro il fatto che i ricchi vogliono puzzare?
— Bah, appropriazione? Come quando mi dicevi che i bambini ricchi vengono elogiati per studiare le lingue, ma i figli di immigrati vengono discriminati nonostante sappiano diverse lingue.
— Si vogliono appropriare del cattivo odore? Di chi non ha possibilità di lavarsi? Dici?
— Non lo so. Tu come la trovi come teoria?
— Mi piace.
Alberto baciò una guancia fredda e arrossata della ragazza, che si strofinò la punta del naso con una manica.
Diana sentì che il cuore di Alberto aveva iniziato a battere più forte, e che il suo respiro si faceva incerto. Le sue labbra si schiudevano ma tornavano subito a serrarsi. L'iter andò avanti per poco tempo. Alberto era eccellente nello scavare e raschiare il coraggio che aveva dal fondo della bocca della sua anima.

— Io ti piaccio?
Gli occhi di Diana si fecero lucidi, una coltre di lacrime amare e salate si distese a coprire tutti i suoi bulbi bianchissimi, cedendo un'estetica interamente marina, anzi, da acquario, alle sue iridi blu.
Deglutì con la bocca rossa triste, gli angoli rivolti verso il basso.
— Non posso fare a meno di te.

Alberto non piaceva a Diana.
Non c'era modo che le piacesse, non era la sua persona e non lo sarebbe mai stato. Era ciò che di più sbagliato le potesse piombare addosso, ed era il coltello con cui lei frugava dentro se stessa. Eppure ne aveva bisogno. Era disperata quando non c'era, e non vedeva l'ora di rivederlo. Era sofferente quando c'era, e si chiedeva se la cosa giusta non fosse smettere di vederlo.

Alberto rimase zitto, si morse l'interno del labbro inferiore ed inghiottì le lacrime.

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