VII

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— Eccoti qua!
Alberto poggiò una busta bianca di carta sul tavolo, di fronte alla ragazza concentrata sul suo libro.
Diana alzò il volto, ed osservò Alberto attonita.
— Che ci fai qui? E fai silenzio, è un'aula studio.
Stava sussurrando e si guardava intorno, preoccupata di trovarsi sguardi infastiditi addosso. Nessuno fu particolarmente disturbato, anzi, erano tutte e tutti completamente disinteressati, più concentrati a fissare il proprio cellulare che i libri posti davanti a loro, o i computer aperti con lo schermo oscurato, da quanto tempo erano stati lasciati inutilizzati.
— Sono venuto a trovarti...
Sibilò il ragazzo, esasperando il suo tono di voce fino a farlo friggere in gola, mentre si avvicinava con una smorfia al viso di Diana, a mo' di scherno, per poi baciarle velocemente la fronte. Lei contorse le labbra e si allontanò, ma subito dopo rise un po'.
Le si arrossarono le guance.
— Cosa è?
Chiese timida, indicando la busta.
— Cornetto. Vegano. Con la crema. Vegana. È fatto con la soia e la vaniglia, qualcosa del genere
Alberto si mise a sedere accanto a lei, mentre spiegava, facendosi spazio, spostando il giubbotto e la borsa di tela della ragazza per liberarsi una sedia.
— Come mai?
Diana si voltò verso di lui, che alzò le sopracciglia ed interruppe il suo mettersi comodo sulla sedia per un secondo.
— Ma che significa? Non posso?
Sogghignò, sistemandosi coi gomiti sui braccioli.
Diana avrebbe voluto rispondere che lei non ci avrebbe mai pensato a fare una cosa del genere. Non riusciva neanche a figurarsi come avrebbe mai potuto ripagare un'attenzione simile.
Osservò il sacchetto a lungo, ma non lo prese mai. La sua espressione rimase seria finché non riuscì a scostarsi dai suoi pensieri.
— Grazie.
Deglutì.

Alberto si accorgeva che lei prendeva le cose troppo sul serio. Non riusciva a decifrare esattamente cosa stesse pensando, ma percepiva una pesantezza nel suo animo, un'incudine insopportabile che si trascinava dietro, che le teneva le labbra all'ingiù e che le faceva chiudere gli occhi, come se il suo flusso di coscienza le portasse peso alle palpebre.

Ad Alberto non piaceva la pesantezza di Diana, eppure non riusciva a smettere di vederla.
Spesso la notte aveva pensieri cattivi. Diceva che, in fondo, ma chi glielo fa fare? È una ragazza decisamente troppo fredda, che non vuole niente, che non ti sta a sentire e che non ti risponde quando le parli.
Eppure il colore del mare al crepuscolo lo riportava ai suoi occhi, e le venature sul marmo di casa dei suoi genitori lo spingevano a chiamarla per ricordarsene i polsi, e quando apriva il freezer vuoto del suo appartamento, era proprio come sentire il suo fiato addosso.
Quindi non la finiva, di cercare di strapparle un sorriso che potesse osservare per più di una frazione di secondo.
Le sigarette spente nel posacenere, ogni singolo libro lasciato incustodito, urlavano il suo nome.
I servizi in televisione sulla Russia, le librerie indipendenti nei quartieri di sinistra, i giradischi gracchianti.
I raggi del sole all'alba e al tramonto.
Il campo di spighe che gli sfrecciava accanto in macchina mentre andava a casa dei suoi genitori, per visitarli.

Diana però si stava esaurendo. Non voleva tornare a Macerata per la pausa studio. Non riusciva a tenersi in equilibrio col lavoro in ufficio e gli articoli in scadenza. Soprattutto, stava trascurando la materia che doveva darsi il mese successivo, e non sapeva come giustificarsi al riguardo. I suoi genitori non avevano mai preso sul serio il suo scrivere per le riviste, speravano semplicemente diventasse una brava professoressa, un giorno. Sapere che stava trascurando lo studio per un articolo, di sicuro non gli avrebbe fatto piacere.
Diana aveva sonno, molto. Faticava a tenersi sveglia, ovunque fosse.

— Non voglio tornare a casa per la pausa studio.
Disse all'improvviso.
Alberto la guardò confuso.
— Vuoi restare qui senza fare niente? Nell'università? Perché non devi tornare a casa? Posso darti un passaggio io.
Lei scosse la testa.
— A Macerata. Non ci voglio tornare, almeno non adesso.
Rimase seria.
Alberto si inumidì le labbra. Scosse le spalle.
— Non tornarci. Dici ai tuoi che hai da lavorare. Che il tuo capo è impazzito o, boh, qualcosa del genere.
Si portò le mani sul grembo, dopo avere gesticolato mentre parlava.
Diana annuì. Lo guardò, dalla ciocca di capelli riccia che gli si poggiava sulla fronte, agli occhi stanchi e scuri.
— Ho sonno.
Sospirò, pensando che forse aveva le stesse identiche occhiaie di Alberto.
— Andiamo a casa tua. Posso lavorare un po' alla mia ultima bozza, e tu dormi.
Non sarebbe stata la prima volta che Alberto finiva per lavorare a casa di Diana, solitamente lei studiava nel mentre. Non aveva realmente proposto a Diana di andare a casa sua, più che altro perché non aveva avuto voglia di fare pulizie straordinarie. Era impresentabile.

Lei spostò lo sguardo al suo libro, poi alla sua borsa di tela che stava stropicciata di fronte ad Alberto.
— Sì. Grazie.

Paglie | TananaiWhere stories live. Discover now