Capitolo 19

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EDITH

“La linea che separa il
dolore dal piacere è
fin troppo sottile”

Da bambina mi aggrappai alla convinzione che se fossi stata buona, dolce, e amorevole, nessuno mi avrebbe respinto

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Da bambina mi aggrappai alla convinzione che se fossi stata buona, dolce, e amorevole, nessuno mi avrebbe respinto. Chi rifiuterebbe mai la gentilezza? Ed era una certezza personale. Una di quelle che perpetrai negli anni, immolandomi a perseguirne la causa. Fu l’orizzonte a cui puntare, la stella da seguire, e l’unica luce sul pontile della vita a guidarmi in un mare di timori e incertezze. Convinta del fatto che non ci fosse giustizia nell’egoismo personale.

E adesso mi trovavo a dubitarne.

Distesa su lenzuola di lino, nella semioscurità di una camera per gli ospiti, ponderavo l’idea che essere respinti non fosse un male. I gusti della gente erano soggettivi, e piacere agli altri non mi avrebbe garantito la felicità che tanto agognavo. Nessuno dovrebbe esserne responsabile. Quindi perché, perché annaffiavo d’affetto la vita degli altri se questo non mi avrebbe garantito la felicità?

Ogni gesto affettuoso dev’essere fine a sé stesso, senza aspettarsi niente in cambio”. Sospirai. Più difficile a farsi che a dirsi. La verità era che ognuno di noi attendeva qualcosa: che fosse materiale o meno. E io, cosa aspettavo?

«A che pensi?», mi chiese Elida accanto a me, nel cuore della notte, a bassa voce. Alcune nostre ciocche, unite in un disegno fantasioso, creavano onde e ramificazioni di colori contrastanti, mentre il suo odore dolciastro, di miele, mi riempiva i polmoni a ogni respiro.

Entrambe fissavamo il soffitto, in attesa di qualcosa. «Che non ero mai andata a letto con una donna», scherzai, sorridendo al buio.

La udii ridacchiare: «Io sì, erano consanguinee però: a volte con mia madre, altre con mia figlia».

Risi anch’io: «Toccò anche alla mia quand’ero piccola».

Lei prese fiato, ed ebbi la sensazione che fosse nostalgica, incastrata in qualche ricordo remoto: «Io finché non mi sono sposata, e sono andata via, a convivere. Non ho mai dormito sola». Mi voltai a guardarla, alla ricerca di una spiegazione approfondita. Ruotò il capo, ricambiando lo sguardo: «Mia madre aveva una grave patologia: insufficienza renale cronica, ed era costretta alla dialisi tre volte a settimana, in ospedale. Ero la sua piccola infermiera personale, e non c’era giorno - o notte - in cui non avesse bisogno di me», mi sorrise accorata.

«Mi dispiace», mormorai con tristezza, condividendo una sofferenza antica, che molto spesso veniva trascurata. I miei genitori curavano persone che vivevano in situazioni estreme e precarie, narrando storie al limite del possibile; ma erano popoli che non avevo mai incontrato di persona. Non sapevo cosa fosse il vero dolore; immaginavo però che lei invece ce l’avesse eccome, un’idea.

«È tutto okay, ha avuto il trapianto qualche anno fa. Adesso sta molto meglio», mi confortò, dandomi un buffetto sul braccio destro.

Intuivo perché Dante ne fosse innamorato. Elida possedeva una dolcezza tutta sua, spontanea: «Questo mi rende felice. Tua madre dev’essere molto orgogliosa di te».

Stripper Love | Parte 2Where stories live. Discover now