Capitolo 3 - Irene che si legge Airin

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«È un regalo di mia nonna.»

Irene si rigirò tra le mani la bambolina di pezza. Le lunghe gambe molli dondolavano sotto la vaporosa gonna di un abitino azzurro mentre Irene la ripuliva dalla polvere. Il tempo aveva ingrigito i capelli biondi - filamenti di lana raccolti in due code sbarazzine - ma l'allegro sorriso ricamato sul volto, proprio sotto i piccoli bottoni neri per gli occhi, non si era spento. «L'ha cucita lei, sai? A Dunya dicono che se vuoi davvero bene a qualcuno devi regalare qualcosa che hai fatto con le tue mani, così è come se lasciassi una parte di te. Ha cercato di insegnarmi come si fa, però sono negata. Non ho proprio pazienza! Quando ho provato è venuto fuori uno sgorbio, così l'ho gettato nel camino.»

Irene si portò una mano alla bocca e soffiò una risata dal sapore agrodolce. Nei suoi occhi c'era una tale amorevole nostalgia che per Chloe era impossibile distogliere lo sguardo.

"Sua nonna è morta" comprese, ma ne conservava un dolce ricordo. Dovevano essere molto legate, forse era stata per Irene una seconda madre o forse l'aveva cresciuta lei. Le sue dita reggevano la bambola con la delicatezza che si riserva a un tesoro prezioso: ne sistemò per bene gonna e capelli, e quando fu pulita la portò al petto in un sospiro, come se avesse riacquistato una parte di sé.

«Mi ha insegnato anche a cantare» disse, e le labbra rosee si distesero. «Quello le è riuscito meglio, credo.»

«Credi?» ridacchiò Chloe. «Se ti ha insegnato anche la modestia, in quello è riuscita fin troppo bene!»

Irene rise di nuovo, ed era un suono così allegro e leggero che Chloe si ritrovò a distendere le labbra. Era così adorabile, con le gote rotonde arrossate e la bambolina stretta al petto, che sarebbe rimasta a osservarla per ore, disegnando nella sua memoria ogni sua più piccola espressione.

«Grazie per avermi aiutata a cercarla. Oh, e grazie anche per prima: è stato carino da parte tua venire ad aiutarmi» disse Irene, allungando il passo verso l'ingresso. Dopo arricciò il naso, stropicciando le labbra in una smorfia incerta. «Un po' meno carino, invece, pensare che avessi bisogno di aiuto.»

«Ho solo pensato che quel tipo non mi piacesse» la corresse, facendo dondolare il capo. «È meglio essere inutili che assenti. C'è un proverbio jiyano che dice: un secondo di superflua accortezza pesa un secondo, ma un secondo di dannosa superficialità pesa cent'anni.»

Irene arrossì di nuovo, serrando le labbra. «Ho apprezzato, giuro. Insomma, è stata una bella cosa, hai fatto bene» borbottò, puntando gli occhi al suolo. «È solo che nessuno mi prende mai sul serio. Mi vedono così bassina, sentono la mia vocetta e pensano che sia fatta di porcellana. Sono una Dotai, eppure mi guardano tutti come se dovessero proteggermi dal mondo perché io non ne sono capace. È così frustrante!»

«Perciò hai messo gli stivali.»

Irene inarcò un sopracciglio. «Gli stivali?»

«Ti piacciono i fiori.» Chloe abbassò lo sguardo sull'abito dal morbido tessuto color panna, che faceva da sfondo a una moltitudine di petali e fiori. Il vestitino azzurro della bambola ne recava solo alcuni - dai petali e dal colore, sembravano magnolie - ma erano stati ricamati con cura, troppa per essere casuale. «Non vuoi rinunciare a indossarli, però ti fanno sembrare ancora di più una graziosa bambolina. Hai cercato di trovare un compromesso tagliando i capelli, ma anche con un taglio così corto e sbarazzino sei comunque adorabile. Così hai provato con gli stivali: poche cose urlano "ragazza forte e indipendente" come un paio di stivali alti a frange, però ti è andata male anche stavolta. Non è colpa tua, e neanche dei fiori: sei semplicemente troppo carina.»

Irene spalancò gli occhi e il rossore raggiunse la punta delle sue orecchie, bloccandola sul posto. Chloe conosceva quel genere di stupore: come hai fatto a capirlo, sembrava chiedere, come fosse qualcosa al di fuori della sua comprensione. A nessuno piaceva sentirsi scoperti, con i propri segreti messi a nudo così facilmente, quello Chloe lo capiva; ciò che trovava ancora difficoltoso era comprendere cosa considerassero tale, perché a lei sembrava tutto così evidente da risultare ovvio.

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