2-Dipende

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La palla cade segnando un punto nella partita d'allenamento, avevano appena vinto il set.
«Grande!» Hinata urla saltando, come sempre. Non era importante se la partita fosse ufficiale o no, Shoyo ci avrebbe sempre messo tutto sé stesso.
«Grande Shoyo! Bravo Kageyama!» Nishinoya da una pacca sulla schiena ad entrambi.
«Kags» Hinata tende il pugno a Kageyama che ricambia mettendo il suo contro l'altro.

«Certo che non vi stancate mai...» Fa Sugawara dall'altra parte della rete.
«Vero, vorrei avere la vostra resistenza.» risponde Asahi.
«Grazie Asahi-san!» Hinata sorride.
«Ammirevole resistenza? Sono capaci di dare fastidio a lungo, non so quando possa essere ammirevole una cosa del genere» Tsukishima si aggiusta gli occhiali. Faceva sempre così.
«Bene ragazzi! Adesso fate un po' di stretching prima di andare.»

Hinata e Kageyama erano sempre vicini, un po' per competizione, un po' perché, ad un certo punto, erano diventati inseparabili. Poggiati al muro mentre si allungavano le gambe, Hinata gira la testa verso Kageyama «Puoi restare oggi?» Kageyama era seduto a terra e beveva. Quello era l'unico momento in cui quei due si fermavano, almeno per un po': la fine dell'allenamento.
«Dipende, devo tornare a casa entro le 20 e 30.» il loro allenamento quel giorno finiva alle 19, dal buio che si vedeva fuori la finestra capivano entrambi che fosse abbastanza difficile riuscirci.
«Va bene, allora camminiamo insieme come sempre.»
«Oh, ok»

Quella strada l'avevano fatta spesso dopo gli allenamenti, non sapevano neanche loro quando avessero iniziato precisamente.Anche perché con le date non andavano molto d'accordo. Non importava il passato, il momento preciso di un inizio, ma il durante, che cosa succedeva dopo quell'inizio. Come nelle partite: non si sa mai il vero e proprio risultato fino alla fine.

Uno accanto all'altro, Hinata aveva le mani sul volante della bici e la trasportava mentre camminava a piedi accanto a Kageyama, che invece beveva un cartone di latte preso dalle macchinette. Nel mentre ascoltava la marea di cose che gli diceva Hinata. Era un gran ascoltatore quando di mezzo c'era qualcosa che gli interessava e, in quel caso, la pallavolo e Shoyo gli interessavano.

«Come mai non puoi giocare stasera?»
«Cena di famiglia, i miei mi hanno vietato di restare più a lungo dell'allenamento.»
«Uffa! Io volevo veramente giocare però!»
«Non lamentarti con me, scemo! Io sarei rimasto.»
«Davvero?»
«Non rifiuterò mai la pallavolo.»

Da Hinata provenne uno strano lamento.
«Ma davvero non puoi restare?»
«Credi veramente che mi sono inventato una scusa del genere? Torna mio cugino dall'Europa dopo un anno.»
«Hai un cugino che vive in Europa?»
«Si, non so dove precisamente, credo al centro.»
«Figo, tu ci vorresti andare in Europa?»
«Ma che razza di domanda è, scemo?»
«Rispondi e basta»
«Credo di sì, non sembra male, tu?»
«Uguale. Non ci capirei nulla di quello che dicono, ma sembra figo.»
«Beh, la lingua si deve impara.»
«Ti sembro uno che si impara bene le lingue straniere?»
«Perché, io lo sembro?»
«Da fuori non sembri uno che va male a scuola.»
«E tu da fuori non sembri uno che gioca a pallavolo.»
«Ehi!»

Nel mentre, come sempre, i metri scorrevano ancora troppo velocemente, inesorabilmente. Stare insieme faceva passare tutto troppo velocemente.
Ed eccoli di nuovo là, sullo stesso bivio. Kageyama si ferma e Hinata si gira a guardarlo.
«Siamo arrivati. Grazie. Ci vediamo doma-»
«Posso finire di accompagnarti a casa? So che non conviene per me ma facciamo ancora qualche metro insieme.»
«Oh, sicuro? Va bene»
Non parlavano. Il loro era un silenzio disinvolto, naturale. Non c'era più quell'imbarazzo del non sapere che cosa dire. Non serviva più altro.

Hinata tende una mano a Kageyama. È inizialmente confuso e ci mette un po' a capire di doverla prendere.
Rispetto alla sua, la mano di Hinata è molto più calda e stringerla, in quel freddo novembre, era molto piacevole.
Visto da fuori, Shoyo faceva abbastanza ridere: in una mano teneva la bicicletta e, nell'altra, la mano di un ragazzo di quasi venti centimetri più alto di lui. Però, Shoyo era così, imprevedibile e spontaneo.
«Dove vivi precisamente?»
«Un po' più avanti in questa via, al numero 34»

La via era formata da vari palazzi omologati, la sua era una villetta di due piani e di un colore bianco pallido, che al buio non si notava molto se non per la luce fioca del lampione.
«Questa?»
Sotto al numero 34 si trovava un citofono con su scritto Kageyama.
«Si»
«Bene, ci vediamo domani»
«Grazie» Tobio fece un respiro profondo prima di dire quella parola. Hinata si strinse in un abbraccio timido e poi accadde tutto velocemente. Shoyo appoggiò le labbra sulla guancia di Tobio che rimase immobile a fissare Shoyo, che intanto si stava allontanando salutandolo con la mano.

Oh cavolo pensò Kageyama dopo aver realizzato. Da quel momento non smise di pensarci.
Perché? Cosa sta succedendo?
La confusione prese il sopravvento, a chi avrebbe dovuto rivolgersi per capirsi meglio?

Capitolo un po' cortino,i prossimi saranno più lunghi, quindi ci metterò leggermente di più a pubblicarli. Ditemi che ne pensate.

Dipende [KageHina]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora