Capitolo 5

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Lily

Mi guardo intorno per assicurarmi di non essere vista. Pare non ci sia nessuno; via libera. Afferro dallo scaffale una confezione di dolci e me la infilo sotto il giubbetto. Mi avvicino all'uscita, cercando di fare la vaga, ma prima che io riesca raggiungerla una mano mi afferra e mi blocca. È il proprietario - Ehi tu cosa nascondi sotto il giubbetto? - diavolo, mi ha scoperta. Mi libero dalla sua presa e inizio a correre fuori dal negozio. Lui m'insegue mentre continua a sbraitare - Fermatela, è una ladra - fortunatamente non c'è molta gente in giro a quest'ora; è quasi sera e delle poche persone che ancora sono per strada nessuno pare dargli retta. Lui però non demorde, devo trovare un posto dove nascondermi per seminarlo. M'infilo in un vicolo e mi arrampico su un muretto con una sporgenza, mi abbasso e aspetto. Lui si ferma proprio sotto di me e si guarda intorno - Dannazione l'ho persa - esclama e rassegnato ritorna su i suoi passi. Non appena gira l'angolo, scendo dal mio nascondiglio e non posso fare a meno di sorridere beffardamente; l'ho fatta franca anche stavolta. Cerco un posto isolato per godermi il mio bottino e lo trovo al Boston Public Garden. Quando scende la sera, il parco è sempre vuoto. Mi siedo su una panchina, chiudo gli occhi e mi rilasso un attimo sullo schienale verde. Non è la prima volta che mi capita di venire qua. Ultimamente è proprio questo il posto dove vengo a passare la notte. Con il calore estivo di questi ultimi mesi è il posto perfetto dove stare senza attirare l'attenzione dei curiosi. Le poche persone che, raramente, capita di incontrare sono esattamente come me: gente che non sa dove andare, senza una fissa dimora e che non vuole l'attenzione di nessuno. Oramai però, con l'arrivo dell'autunno, le temperature si stanno abbassando sempre di più e questo mi costringe a dover cercare un altro posto per passare la notte. Mi sfilo il giubbetto di pelle rosso e ripenso al giorno in cui sono riuscita a rubarlo. Nei negozi erano appena iniziati i saldi, c'erano delle enormi folle di persone che li assalivano come delle mandrie inferocite. Nonostante i numerosi sistemi di sicurezza elettronici, e i controlli fisici dei commessi è stato un giochetto sostituire questo giubbetto con quello che avevo in dosso, ormai vecchio e logorato. È bastato entrare in un camerino e con un piccolo trucchetto che mi è stato insegnato da Cole, l'uomo che mi ha fatto da maestro, ho manomesso il dispositivo di allarme e ho tolto il cartellino del prezzo che in seguito ho attaccato al vecchio giubbetto. Poi ho riappeso la stampella e sono uscita dal negozio con molta facilità. Non vado molto fiera delle mie azioni ma non ho molta scelta; devo pur vivere. A questo pensiero non posso fare a meno di lasciarmi sfuggire un amaro sorriso. La mia si può davvero definire vita? Analizzo con la mente tutti i punti che hanno caratterizzato il mio essere al mondo. Sono stata abbandonata dalla mia famiglia vicino alla casa di un fabbro, con solo una coperta a proteggermi dal freddo e un biglietto al mio fianco.

Lily, 5 ottobre 1995

Mi sono sempre chiesta come mai due persone, che decidono di abbandonare la figlia si preoccupassero del fatto di informare un eventuale ritrovatore del nome e della data di nascita della bambina. Quando il fabbro mi ha trovata non ci ha pensato due volte a portarmi all'orfanotrofio più vicino e a mollarmi li. Evidentemente non era nei suoi progetti avere una figlia. Sono rimasta in quell'orfanotrofio per quindici lunghi anni. Nei primi dieci la cosa che mi mandava avanti, il pensiero che mi risollevava dai molti momenti di sconforto era la speranza che alla fine qualcuno venisse li per me. Una famiglia adottiva o, perché no, la mia vera famiglia, pentita e desiderosa di ricominciare una vita con me. Ma più il tempo passava e più io mi ritrovavo sola, più io crescevo e più la mia speranza si sgretolava fino a diventare polvere. Quando a undici anni una famiglia, dopo avermi vista, mi etichettò come "troppo grande per essere adottata" persi anche l'ultimo barlume di speranza. Da quel momento, in me scaturì un altro tipo di pensiero: la fuga. Volevo andarmene da li, fuggire via da tutto e stare da sola, per conto mio. Dovevo aspettare di compiere diciotto anni per potermene andare secondo la legge, troppi per i mie gusti. Negli anni seguenti ho tentato più volte di fuggire da quel luogo ma solo dopo altri cinque anni ci sono riuscita. Per la prima volta, all'età di sedici anni, mi sono sentita libera. Pochi giorni dopo la mia fuga, mentre mi riparavo sotto un ponte dalla pioggia, ho incontrato un uomo: Cole. Aveva i capelli lunghi, raccolti in una coda, era ben vestito e aveva un viso squadrato rovinato da una cicatrice che gli partiva da sotto il mento e gli arrivava quasi vicino l'occhio destro. Quello era l'uomo che da quel giorno, per un anno sarebbe diventato il mio maestro. Mi ha insegnato come sopravvivere a questo mondo che ogni giorno cerca di abbatterti. In quell'anno ho vissuto nel suo nascondiglio, una vecchia casa abbandonata. Alla fine ho scoperto che mi stava solo usando. Mi ha insegnato i suoi trucchi, solo per usarmi come diversivo. Mentre lui commetteva un furto molto grande, indirizzò la polizia nel nostro nascondiglio dove mi trovarono e mi arrestarono per le molte denunce che avevo accumulato. Ho scontato un anno di carcere minorile per colpa sua. Da quell'esperienza ho imparato che nessuno ti da nulla, per nulla. Saldato il mio debito con la giustizia, sono riuscita ad arrivare a Boston, dove con qualche piccolo furto riesco a sopravvivere ormai da tre anni.

Le Cinque LeggendeWhere stories live. Discover now