Capitolo 859: Va bene, va bene, arrivo. Aspettate un momento...

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Rodrigo Borja, la mattina del 18 agosto, riparato dall'ombra della sua stanza, lontano dalla canicola irrespirabile di Roma, seguì la Messa officiata dal Vescovo di Carinola.

In un primo momento, quando gli era stato proposto di seguire la funzione, il papa aveva rifiutato, stanco e dolorante, ma poi qualcuno gli aveva fatto notare che anche un pontefice ha bisogno di un aiuto divino, in caso di malattia grave e così si era piegato al volere altrui, ma solo a patto che fosse il suddetto Vescovo a celebrare la Messa, essendo egli un amico curiale di sua figlia Lucrecia. Forse erano le febbri, o forse la disperata malinconia che provava in quei giorni per la figlia – che non avrebbe, anche volendo, potuto muoversi da dove stava, visto che nel ferrarese ormai c'erano molti casi di peste, e spostarsi era un rischio enorme – ma sentire la voce di quell'uomo che sua figlia aveva ritenuto degno d'amicizia, per Alessandro VI era una consolazione.

Il papa, docile come un agnellino, così diverso dal toro che era stato per anni, lasciò che l'aiutassero a prendere la Comunione e, mentre veniva riadagiato sui suoi cuscini, mormorò: "Sto male, molto, molto male..."

L'attenzione di tutti era per lui, per ogni suo minimo gesto, per ogni sua più piccola parola, e così quando quel giorno il Vescovo Gerolamo Pallavicini – che aveva, apparentemente, lo stesso male del pontefice – morì, nessuno gli diede importanza. Gli unici, anzi, che spesero qualche minuto a pensargli lo fecero solo interrogandosi sulle similitudini e sulle differenze tra il suo caso e quello di Alessandro VI, per capire quanto quella morte potesse essere o meno presagio di quella del Santo Padre.

Il resto della giornata passò lentissimo e al contempo molto in fretta. Il Borja ebbe picchi febbrili insopportabili, alternati a momenti di assopimento. La sua fronte a tratti scottava e a tratti era gelida come la neve di gennaio.

Ormai il brusio di sottofondo dei suoi appartamenti era continuo e univoco. Tutti sapevano che non poteva mancare molto alla fine. C'era sempre la speranza di un miracolo, ma in che miracolo, si chiedevano tanti, poteva sperare un uomo che aveva fatto il volere del diavolo per tutta la vita?

Stava arrivando la sera, e le lunghe ombre del 18 agosto iniziavano a gettare anche sugli appartamenti pontifici una luce sinistra.

Su invito di alcuni uomini che gli stavano accanto – ma che, preda del delirio, il papa non riconosceva – Rodrigo accettò di ricevere l'olio degli infermi, come estremo tentativo di salvarsi.

Se fosse stato un po' più lucido, probabilmente, il pontefice avrebbe chiesto dov'era il figlio Cesare e, magari, anche dove si trovasse in quel momento Michelotto. Invece era del tutto avulso dalla realtà e, anche se gli avessero detto che proprio in quei minuti, forse intuendo la gravità della situazione, il Corella, portatosi alla Porta di San Pancrazio, stesse cercando, abbastanza inutilmente, di prendere il controllo della Torre di Guardia, per certo non gli sarebbe importato molto.

Ormai stava per far buio e il letto del pontefice sembrava un lume in grado di attirare falene enormi, vestite da Vescovo, da Cardinale, da medico e da servo. Tutti gli ronzavano intorno, parlottando, indicandolo, sollevando le mani al cielo e invocando il perdono divino, come se lui fosse già morto.

A un certo punto, muovendosi impacciato sui cuscini madidi di sudore e aprendo un po' di più gli occhi, il pontefice guardò un qualcosa di indefinito davanti a sé e poi sussurrò, ben udibile, comunque, da tutti i presenti: "Va bene, va bene, arrivo. Aspettate un momento..."

E dopo quelle parole, ricadde all'indietro e non si mosse più.

Il silenzio che seguì a quell'ultimo guizzo fu allo stesso tempo solenne e spaventoso. Nessuno più parlava, nessuno più respirava... Tutti i presenti erano immobili, così com'era la salma del papa.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (parte VI)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora