Capitolo 861: Desidereremmo che Ottaviano Riario tornasse in Forlì...

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Bartolomeo D'Alviano non riusciva a non ripensare allo sguardo triste che sua moglie Pantasilea Baglioni gli aveva dedicato nel momento in cui aveva capito che l'avrebbe lasciata a Conegliano e non l'avrebbe portata con sé in Romagna.

Il condottiero si sentiva in colpa, specie perché nelle ultime settimane, pur non essendo mai andati oltre a qualche breve stretta di mano, lui e la consorte stavano cominciando a conoscersi meglio e ad andare davvero d'accordo. Che tra loro potesse scoccare la passione o accendersi un interesse reciproco concreto, per il momento, era fuori discussione, almeno per l'uomo, ma la compagnia l'uno dell'altra era stata una piacevole costante dell'ultimo periodo.

Anche se Pantasilea era al sicuro e non sarebbe stata di certo raggiunta dal fratello Giampaolo – il che era sempre il suo più grande cruccio – l'Alviano aveva la sensazione di abbandonarla a se stessa in un mondo denso di pericoli.

Malgrado tutti questi rimorsi morali, però, era stato proprio Bartolomeo, quando aveva saputo della morte del papa, ad accettare all'istante il consiglio di Fabio Orsini, di lasciare il servizio dei veneziani e di mettersi in prima linea per ribaltare lo strapotere dei Borja.

Non era stata tanto la voglia di aiutare Pandolfo Malatesta, che l'aspettava non lontano da Rimini per riprendere la città, quanto più un riflesso sentimentale, che l'aveva portato ad ascoltare le parole di Fabio molto di più di quello che avrebbe fatto se il suo cognome non fosse stato Orsini. Anche se era una cosa stupida, per Bartolomeo era un po' come se la sua prima moglie, la sua amatissima Bartolomea, cercasse di dargli un'indicazione per tramite del parente.

"Quando ci fermeremo per la notte?" chiese a un certo punto uno dei quindici cavalieri che lo seguivano.

La giornata stava volgendo al termine, e il sole calava all'orizzonte, anche se il caldo di quella fine d'agosto non demordeva nemmeno per un istante.

"Voglio arrivare a Cesenatico presto." disse il condottiero, parlando lentamente per far sì che la sua povera lingua non si aggrovigliasse come spesso faceva, da che era stato ferito: "Cavalchiamo ancora due ore e ripartiamo prima dell'alba."

Avvezzi al suo stile di vita spartano e ordinato, gli uomini che lo seguivano non ebbero nulla di ridire, e solo un cavallo nitrì in segno di impazienza. L'Alviano era soddisfatto dei soldati che aveva con sé e sperava che aiutare il Pandolfaccio fosse solo l'inizio di un riscatto che aspettava ormai da anni. A volte ripensava ancora a come lui e la sua prima moglie fossero stati a un soffio dall'uccidere i giovani Borja e, quindi, dal distruggere sul nascere quel diabolico castello di carte che il papa aveva creato grazie al Valentino...

Tutto quello che poteva fare era cercare di rimediare dando tutto se stesso per distruggere quanto creato dal pontefice e da Cesare. Una volta che si fosse rifatto una posizione solida, allora avrebbe tenuto Pantasilea sempre con sé, difendendola com'era suo dovere di marito fare e, con l'aiuto di Dio, si sarebbe sentito di nuovo un uomo degno di farsi chiamare tale, come quando era sposato con la sua adorata Bartolomea.


Caterina si passò una mano sulla fronte, e lisciò ancora una volta la lettera di Giambattista Tonello, come se le fosse indispensabile per capire ancora meglio le parole di quel suo partigiano che, di concerto con Numai e con altri, la invocava e la pregava di ritornare a Imola e a Forlì.

La Tigre non poteva certo non dirsi tentata dal rispondere subito e con toni entusiastici, assicurando la sua partenza, la sua disponibilità a guidare un esercito e ritornare in Romagna... Ma era una donna abbastanza intelligente da capire che quelle, per ora, erano solo fantasie. C'erano ancora troppe cose da definire, e troppe incognite legate al nuovo papa. Cosa poteva fare lei, in concreto, quasi senza soldi e senza più né un titolo né un aggancio sicuro a Roma?

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (parte VI)Where stories live. Discover now