Capitolo 870: ...lasseria far a ognuno a modo suo...

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Caterina si sentiva inquieta quel pomeriggio. Le notti che stava passando insonni, insieme a una strana incapacità di concentrarsi come avrebbe voluto su una qualsiasi cosa, la stavano stremando.

Cercava di passare le sue giornate in modo tranquillo, conscia che, da quella villa di Castello che sentiva a tratti come una prigione lei avrebbe potuto fare molto poco, su qualsiasi fronte. Il papa ormai era stato eletto e si poteva solo sperare che i suoi figli più grandi stessero intessendo qualche amicizia interessante, che permettesse loro di avere una possibilità concreta di riprendersi le loro terre. La speranza c'era, visto che tanti altri signori spodestati dai Borja stavano riacquistando Stati, soldi e potere...

Di contro, però, la presenza alla villa del piccolo Pier Maria ricordava costantemente alla Tigre di come Bianca fosse prossima al parto e quel silenzio, quella mancanza totale di notizie da San Secondo, cominciava a farla impensierire.

L'unica nota di colore, quel giorno, era stato il ritorno di Fortunati che, comunque, aveva solo peggiorato la sua mestizia. Anche se da un lato era stata felice di sapere che Semiramide Appiani aveva assicurato che nel giro di pochi giorni, massimo un paio di settimane, si sarebbe organizzata in modo di recarsi da loro in visita per conoscere Giovannino, dall'altro la Tigre ne era rimasta turbata.

Aveva accettato abbastanza facilmente la proposta della cognata, la prima volta in cui ne avevano parlato, ed era stata lei a chiedere al piovano di rinverdire l'invito, eppure c'era qualcosa che la metteva in ansia al pensiero che la vedova di Lorenzo incontrasse il bambino.

O forse tutta la sua cupezza derivava dal resoconto, stringato e più freddo di quanto avrebbe creduto, fatto da Fortunati circa il lutto dei Salviati. Per prima cosa le aveva descritto uno Jacopo in lacrime, senza parole e confuso, così diverso dal solito compassato uomo d'affari che Francesco si era quasi spaventato a vederlo così. Non era stato così male, aveva sottolineato, nemmeno quando era morta la madre Elena. Poi le aveva parlato di Lucrezia, il cui dolore sembrava averla resa di ghiaccio. Gli aveva parlato per tutto il tempo di politica, del nuovo papa, di Firenze, di guerra, senza fermarsi un solo secondo, senza nemmeno nominare la figlia appena morta.

Fortunati si era detto allibito dall'atteggiamento di Lucrezia, sostenendo che una madre non poteva archiviare in modo tanto distaccato una perdita così grave, men che meno poteva farlo una donna come Lucrezia. Caterina era stata tentata di ribattere all'incredulità del piovano facendo notare che l'elaborazione del lutto e del dolore erano cose personali e private e che non si poteva sapere cosa davvero passasse nella testa della Medici in quei giorni, ma alla fine aveva desistito.

Francesco era un uomo buono, empatico e comprensivo, ma era troppo avulso da tutto ciò che poteva riguardare la genitorialità per riuscire a fargli davvero capire il suo pensiero.

In più, la Leonessa non aveva molta voglia di parlare di neonati morti in fasce, non avendo ancora ricevuto notizie da Bianca.

Così quel pomeriggio aveva preso un paio di punte di lancia ricavate da vecchi punteruoli e si era messa a una delle finestre esposte a ovest, per catturare gli ultimi raggi di sole mentre passava la cote sul filo delle lame. Avrebbe preferito poter affilare una spada o anche lucidare un pezzo d'artiglieria, ma quella villa, così civile, così all'uso del mondo, era molto diversa dalla sua rocca di Ravaldino, che era stata selvatica e grezza, ma adatta a lei. Quella dimora, per quanto comoda ed elegante, non offriva quel genere di svago che lei spesso desiderava.

Stava perdendo il senso del tempo, accompagnata solo dal ritmo del proprio respiro e dal suono familiare e per lei rassicurante della cote che addomesticava il metallo, quando con la coda dell'occhio vide che qualcuno era in piedi proprio sulla porta.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (parte VI)Where stories live. Discover now