Parte 21. Luce

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La paura avvolgeva Sole con lunghi tentacoli bui, che le stringevano le viscere, percorrevano con lentezza disarmante la sua spina dorsale, sembravano stritolarla nella loro morsa gelida, togliendole il fiato. Istintivamente cercò la mano di Jason. Le loro dita si sfiorano, e la ragazza notò quanto fossero calde umide quelle di lui, ma non le importava. Strinse la presa, quasi che la mano del ragazzo fosse l'unica ancora per non sprofondare in quel baratro di terrore che sembrava essersi creato sotto i suoi piedi. La bambola li fissava, e Sole non era mai stata tanto terrorizzata in vita sua. Sembrava quasi che Bellatrix le stesse ordinando di avere paura. Si rese conto all'improvviso, sconcertata, di temere qualsiasi cosa presente nella stanza. Le ombre delle gabbie, i cigolii delle catene, tutto sembrava essere la causa del suo spavento. Ma, soprattutto, la figura di porcellana che non smetteva di guardarla, un sorriso di scherno dipinto sulle labbra, ombre inquietanti che si allungavano sul viso pallido. Se non fosse stato per Jason, se non fosse riuscita a sentirne il fiato sulla guancia, come un carezza incandescente, probabilmente sarebbe impazzita. Ripensò ai suoi genitori, ai quali aveva mentito senza ritegno, di cui non sentiva di meritare l'affetto, che attendevano ansiosi il momento in cui avrebbe varcato la soglia di casa insieme alle sorelle, e qualcosa dentro di lei si sbloccò.
Fu come se il fuoco che ardeva nel suo cuore si fosse animato di una propria volontà, bruciando, infuriando, divorando ogni brandello di paura, pezzo dopo pezzo.
Ripensó a Starly, a Pantu, alla magia che la circondava e a tutta la meraviglia che celava dietro luci nell'aria e topolini di pezza, e le fiamme della sua anima fecero a pezzi il suo orgoglio, le sue insicurezze, modellandoli in una furia di determinazione.
Avrebbe combattuto, avrebbe sconfitto anche un'ostacolo all'apparenza insormontabile. Lei, Sole, avrebbe fatto uscire lei e i suoi amici da quel buco nero, a qualsiasi costo.
Scambiò uno sguardo con Jason, e vide scintillare nei suoi occhi la stessa potenza che sentiva nel cuore.
-Ora- sussurró e, come un'unica macchina, cominciarono a combattere.

Era difficilissimo anche solo vedere dove Bellatrix si trovasse, perché la bambola non faceva altro che sparire, per poi riapparire diversi metri più in là, lanciando nella loro direzione ondate di panico, terrore e confusione per intimorirli. Ma Sole non cedeva. Dentro di lei una fiamma ardente era in lotta costante con tutte le paure che Bellatrix le imponeva, il fuoco le soffocava, toglieva loro l'ossigeno, le inceneriva con brutalità. Sole aveva una missione, e l'avrebbe portata a termine. Avrebbe salvato l'universo , nonostante non avesse idea dei pericoli che avrebbe corso, si sarebbe fatta valere, avrebbe salvato tutte le stelle, e non le importava quale sarebbe stato il prezzo da pagare, quali sacrifici avrebbe dovuto compiere. Perché, in fondo, si sentì una stella anche lei. Nulla di più che un minuscolo puntino nel cielo, ma con una luce capace di illuminare l'intera galassia. Perché anche la più piccola stella può bruciare di una forza distruttiva e possente come l'universo.
E così Sole lottò, ancora e ancora, formava grosse sfere di fuoco e le scagliava con ferocia contro la bambola, senza mai riuscire a colpire il bersaglio. Jason aggiustava la mira dei suoi colpi, ma nulla sembrava cambiare. Erano in svantaggio. Bellatrix li avrebbe battuti, imprigionati in una grossa gabbia dorata, costretti a giocare infinite partite a giochi assurdi e a bere the pieno di zucchero per il resto della loro vita. Sarebbero rimasti chiusi in quel buco di buio per sempre, senza alcuna possibilità di uscirne, mentre intorno a loro Lux prendeva inesorabilmente il controllo dell'universo, sostituendo ogni più piccolo barlume di luce e speranza con centinaia di ombre di oscurità.
E proprio quando la ragazza stava per collassare, quando sembrava che il suo fuoco interiore stesse per spegnersi, allora le venne un'idea. Non aveva mai provato nulla di simile prima di quel momento, eppure fu subito sicura della sua scelta. Non che avesse altre opportunità, comunque.
Visse gli attimi seguenti al rallentatore, come se tutta l'adrenalina che aveva in corpo avesse deciso di esplodere in quel momento. Vide la figura di Bellatrix apparire alle sua destra, allungò la mano con uno scatto e un fiotto di luce sprizzó violento dalle sue dita stese allo spasimo. Il lampo luminoso arrivó a velocità inaudita alla bambola, convergendo dritta negli occhi di quest'ultima, che si copri il volto con le mani, accecata. Sole non perse tempo. Circondó la figura accasciata a terra con un muro di fiamme. Prima di montare su Raja e scappare con tutto il gruppo, la ragazza si voltò a guardare la furia del fuoco che aveva creato. Si perse per un istante, lo sguardo perso in quei nastri infuocati, che risplendevano di bagliori gialli e rossastro. E mentre le guance le bruciavano per il troppo caldo, si accorse che erano proprio come lei. Erano proprio come lei, come la sua anima, imprevedile, incapace di arrestarsi, indomabile quanto un cavallo selvaggio, furiosa come il ruggito di un leone. Era proprio così il fuoco che si sentiva dentro, una tempesta di fiamme che le scaldava il cuore, illuminava il suo sorriso e ardeva nei suoi occhi di smeraldo.
-Sole!- la chiamo Jason -andiamo!-
Il ragazzo le tese la mano, e lei la afferrò, facendosi sollevare e mettendosi in groppa al suo leone dietro di lui, senza offendersi per il fatto che Jason avesse preso il posto davanti e che lei si fosse trovata stretta alla sua schiena. Vi appoggiò anzi il capo, serrando gli occhi, le dita strette alla sua maglietta, sperando che quel momento potesse durare in eterno. Si riscosse solo dopo qualche secondo. Un singulto flebile, come d'un vetro incrinato, giungeva in lontananza, risuonando fra le pareti della stanza. Anche Jason sembrava averlo sentito, perché la schiena del ragazzo si era improvvisamente irrigidita, e l'andatura di Raja era stata notevolmente ridotta, anche se ancora superavano di gran lunga i trenta chilometri orari. Tuttavia non arrestarono, e continuarono a proseguire almeno finche non udirono Vy parlare.
-Aspettate- disse. Poi la piccola scese con calma dal lupo di Luna, con la sorella per mano, e insieme camminarono fino al limitare del muro di fiamme che ancora bruciava in mezzo alla sala. Le due si guardarono, e Sole scorse una muta intesa nei loro occhi. Allora Luna, con un secco movimento della mano, spense con un'ondata d'acqua il fuoco che la circondava, trasformando tutte le fatiche della povera gemella in una marea di fumo. Ma che stavano facendo? Erano forse impazzite? Volevano consegnarsi al nemico? Il cuore della ragazza, riprese a martellarle con violenza nel petto, mandandola in completa confusione. Ora che il crepitio delle fiamme era cessato, il silenzio era interrotto solamente da deboli singhiozzi soffocati. Qualcuno...stava piangendo. E quel pianto era così umano, i singhiozzi così strazianti, così pieno di disperazione che Sole provò pietà', pietà per quella povera creatura tutta sola in un regno di illusioni, pietà per Bellatrix, un'animale tenuto in cattività, un giocattolo rotto abbandonato sullo scaffale sbagliato. Cosa aveva sentito Vy, perché aveva deciso di tornare indietro? Cosa aveva letto nel cuore di quella bambola terrificante? Una voce tremante si levò fievole nell'aria, insicura. Il fumo si era in buona parte dissipato, lasciando intravedere due occhi di vetro, dietro ai quali si nascondevano migliaia di specchi di crepe.
-Non...non andatevene...per favore- disse, le pallide dita sottili che nascondevano il volto di porcellana bagnate di lacrime, -io voglio solo giocare con voi-.
Mentre l'esile figura era scossa da singulti colmi di dolore, Sole, il cuore stretto in una morsa di tristezza, udì un'altra voce di bambina, quella di Vy.
-È come noi-disse semplicemente. Poi con Starly che gesticolava sulla sua spalla, si avvicinò con circostanza a Bellatrix, lentamente, quasi fosse un animale selvatico e avesse paura che, se avesse fatto movimenti troppo bruschi, sarebbe scappato lontano.
Poggiò una manina delicata sulla spalla della bambola, poi chiuse gli occhioni da cerbiatto. La ragazza avvertì un cambiamento appena percettibile nell'aria, poi si accorse con stupore che la rigidità di Bellatrix stava lentamente svanendo: il suo colorito si faceva più roseo, le guance erano arrossate dal pianto, i capelli si sciolsero dalla complicata acconciatura che portava e caddero con morbidezza sulle sue spalle, lisci e setosi. I lineamenti del suo viso si addolcivano, gli occhi di vetro brillavano, e Sole si rese conto di non avere più una bambola davanti a sé, ma una bimba non più grande della sua sorellina, con ginocchia nodose e polsi sottili, che la guardava con gli occhi grigi implorando perdono. Poi Bellatrix abbassò lo sguardo, fissando il pavimento, e Vy le si sedette accanto, prendendole la mano. Poi Bellatrix cominciò a raccontare, e i contorni della stanza sfumarono.
-Sono nata il 13 ottobre 1951. Il ventisette novembre 1958 sono arrivata qui. Era il periodo della guerra fredda e la tensione, in Russia, si faceva sentire. Nell'orfanotrofio in cui vivevo nessuno diceva mai nulla, ma dalle facce preoccupate degli insegnanti e della direttrice e dai discorsi origliati in radio ci eravamo fatti un quadro abbastanza chiaro della situazione. Eravamo a un passo dalla guerra, quella vera, quella con bombe, morti e fiamme. E la conquista che tutti temevano maggiormente era quella dello spazio. Credevano che, chi avesse raggiunto prima la luna, mandato il primo uomo fuori dall'atmosfera, si sarebbe aggiudicato la vittoria. Io, personalmente, la consideravo una cosa molto sciocca. A cosa poteva servire orbitare nello spazio quando la battaglia si sarebbe combattuta solo e soltanto sulla terra? Proprio non capivo la necessità di tutti quegli astronomi ed ingegneri di mandare gli uomini a spasso con le stelle. Erano i pensieri in cui mi perdevo nelle lunghe giornate monotone dell'orfanotrofio, seduta sul ramo più alto in cui riuscivo ad arrampicarmi. Poi, un giorno, mentre facevo dondolare le gambe seduta sulle fronde rigogliose dell'albero, vidi arrivare due uomini vestiti dj tutto punto. Sembravano provenire dal governo. Non sapevo cosa me lo suggerisse, forse il modo in cui i loro occhi si erano fissati su di me squadrandomi dall'alto in basso con interesse quasi annoiato mentre scalavo velocemente i rami e mi rassettavo gli abiti, pronta ad accoglierli. I due si scambiarono un'occhiata, poi si fermarono davanti al grosso cancello in ferro battuto che circondava l'edificio. Mi rivolsero la parola, parlando velomente in russo, tanto che faticai a capire anche solo qualche parola. Ero arrivata nel Paese da poco, un anno all'incirca, e da dieci mesi mi ritrovava rinchiusa tra i cancelli dell'orfanotrofio, ma riuscii comunque a comprendere la loro richiesta di aprire il cancello e chiamare il responsabile del posto. Risposi nel mio russo saltellante, poi corsi a chiamare la direttrice. Questa arrivò subito, tutta trafelata: non ricevevamo visite da parecchio tempo. Subito ci ritrovammo tutti in fila ordinata nel salottino angusto riservato agli ospiti, una decina di bambini dai visi pallidi e gli occhi spenti. Fu subito chiaro che i due non erano venuti ad adottare nessuno. Tuttavia questo non significava che non volessero portare qualcuno con sé. Dissero che volevano qualche generalità dei bambini. La direttrice li condusse nel suo ufficio. Ne uscirono qualche minuto dopo, e con un cenno del capo mi indicarono. Cosa successe dopo, non lo ricordo. So solo di essere salita su un'automobile, con i vetri oscurati- a questo punto la bimba cominciò a tremare -Ricordo una stanza bianca, con un lettino. Delle infermiere che venivano ogni giorno a visitarmi, facendomi fare strani esercizi. Poi altre prove, in cui sentivo la testa girare e le forze mancare. Ma soprattutto, ricordo Lip. Il suo pelo morbido, le orecchie nere a punta, il suo dolce miagolio quando la accarezzavo, e i grandi occhioni verdi che mi fissavano con tenerezza. Ricordo di essermi stretta a lei, tutte le notti, mentre venivamo messe su strani macchinari che vorticavano così forte che tutto intorno a noi spariva, di essermi aggrappata a lei mentre il mondo intorno a me cadeva a pezzi, sostituito da pareti spoglie e luci al neon. Non immagino quanto tempo fosse passato, so solo che a un certo punto capii cosa dovevamo fare. Quando fummo portate all'aperto, dopo mesi al chiuso e fatte salire su un'alta scalinata. Espressi le mie perplessità. Mi indicarono i cielo, lo spazio, i suoi segreti, qualunque cosa ci fosse oltre l'atmosfera. Mi disse che, al segnale, avrei dovuto schiacciare un grosso bottone rosso, che mi indicarono. Non dovevo sbagliarmi, ne andava della nostra vita. Non lo dissero, ma ne andava anche della loro vittoria. Se fossero riusciti nell' impresa, la Russia avrebbe vinto la corsa allo spazio. Non importava davvero che fine avessimo fatto noi, eravamo solo pedoni sulla scacchiera. Pedine utili solo a raggiungere l'obiettivo. Salimmo su un cilindro di metallo, legate da cinghie di sicurezza, lo spazio appena sufficiente a stare accucciate. Stavamo per essere lanciate nello spazio. E, forse, non saremmo più tornate. Strinsi forte Lip, anche lei imbragata, preparandomi al decollo. Contai fino a dieci, poi sentii le scale allontanarsi cigolanti e una forza inimmaginabile mandarci su, sempre più su. Sorpassammo le nuvolo volammo tra le stelle a velocità inaudita, poi l'astronave rallentó. Da una piccola finestra rotonda potevo vedere lo spazio, i pianeti, e ne rimasi estasiata. Sentivo l'aria mancare nei polmoni, il cuore battere a una velocità inaudita, la gattina che mi piantava gli artigli nella carne, terrorizzata, ma non importava. Contava solo la meraviglia che mi riempiva gli occhi, quell'universo di sogni, quella magia di stelle che mi faceva formicolare la pella di tutto il corpo. "Guarda, Lip, garda dove siamo arrivate. La prima bambina e la prima gattina a esplorare lo spazio". Passò qualche ora, in cui continuavo a osservare curiosa il nuovo mondo che si era aperto davanti a me. Tra quanto saremmo scese? Quanto mancava prima cha schiacciassi il bottone rosso e tornassi giù? I miei pensieri furono subito interrotti da un rumore di passi. Passi di corsa. Mi chiesi come facessi a sentire un suono così debole fra le pareti insonorizzate. Il suono di una battaglia, un boato assordante, che rimbombó nelle mie ossa. Strinsi forte Lip, che miagolava terrorizzata. Fissai i miei occhi nei suoi, e mi ripromisi di non dividerci mai più. Poi il buio più totale.
Quando mi risvegliai, ero prigioniera del mio stesso regno, regina della mia prigione. E Lip...- Bellatrix scoppiò nuovamente in lacrime. Vy l'abbracciò, e mentre lo faceva Starly si avvicinò alla guancia pallida della bimba, ne raccolse una lacrima perlata fra le punte e Vy soffiò su di essa, trasformandola in una polverina scintillante. Polvere di stelle. Perché non importa quanto una stella sia piccola. Ogni stella, quando cade, permette ai cuori più puri di esprimere un desiderio.
Bellatrix alzò lo sguardo e si portò le mani alla bocca. Gli occhi le si illuminarono.
-Lip...- chiamò estasiata. La gattina nera si avvicinò miagolando alla padroncina, strusciandosi sulle sue gambe e acciambellandosi in braccio a lei.
-Grazie- disse soltanto, in un soffio. Sole la guardò, e sorrise. Nonostante il male che aveva causato loro, non poteva non essere felice per lei.
Bellatrix si alzò, batté una volta le mani e un piccolo varco si aprì, fatto di nebbiolina colorata, simile al vortice del buco nero, ma più piccolo e molto meno spaventoso.
-Attraversatelo, e arriverete a Saturno- disse la bimba con un sorriso dolce.
-Buon viaggio-
Vy fu la prima ad oltrepassare il portale, non prima di un'ultimo abbraccio a Bellatrix, seguita a ruota da Jason. Poi Bellatrix slacció la collana con il pezzo, e la diede a Sole.
-Ho visto, come lo guardavi, poco prima - disse, mettendoglielo in mano - tienilo come pegno della nostra amicizia -
-Grazie- disse soltanto, avvicinandosi al portale. La ragazza stava per attraversarlo a sua volta quando si bloccò.
-Perché?- stava chiedendo Luna -Parche sei diventata questo? Perché sei diventata...- Sole era sicura che avrebbe aggiunto cattiva, tuttavia la gemella non lo fece. La ragazza si voltò a guardare la sorella, che guardava intensamente Bellatrix, con gli occhi di un colore blu di un'oceano in tempesta.
-Tutti hanno un lato oscuro, Luna, che cerca incessantemente di soffocare quello buono. C'è chi lo accoglie a braccia aperte, chi lotta con le unghie e con i denti per tenerlo a bada e chi, nonostante tutti i suoi sforzi, ne è sopraffatto.-
Sole oltrepassò il portale. Luna la seguì, un attimo dopo.

 Luna la seguì, un attimo dopo

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