22. Felice?

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Elia l'aveva riaccompagnato a casa quando ormai era mattino inoltrato. Questa volta si era fatto lasciare poco prima del cancello di casa. Il momento dei saluti era stato strano, intriso di imbarazzo da entrambe le parti. Sembrava che la luce del sole avesse reso tutto più reale, illuminando ciò che avevano fatto e ciò che, stando a quanto aveva confessato Elia a suo fratello, erano diventati quella notte.

«Allora...» aveva detto Elia, accostando, «ci sentiamo?»

«Beh, spero di sì. Direi di sì» aveva risposto lui.

Poi si erano dati un velocissimo bacio all'angolo della bocca, un po' perché adesso era giorno, un po' perché erano fuori dalla loro zona di comfort e un po' perché nessuno dei due sapeva bene come avrebbero dovuto salutarsi. La familiarità che provò Luca sentendo sulle loro labbra l'aroma dello stesso dentifricio, connotò a quel mezzo bacio un valore inestimabile.

«Ti posso scrivere più tardi? O chiamare? O devo aspettare domani a scuola?»

«Non c'è una regola, Luca! Scrivimi quando vuoi, anzi, mi farebbe piacere.»

«Ok, allora ciao. E grazie. Di tutto. Grazie davvero.»

Elia aveva risposto «Grazie a te», senza sapere che Luca aveva da ringraziare molto di più. Non si rendeva conto di quanto.

Scendendo dalla macchina, Luca si era sentito come se stesse scendendo dalla vita che desiderava e stesse mettendo un piede nella vita in cui era costretto, dove la portiera dell'auto era una specie di portale dimensionale che si era appena chiuso. Solo per un po', ma comunque chiuso. Le cose dovevano però cambiare in entrambi i mondi, non solo in quello ideale, e Luca aveva deciso che sarebbe stato il turno di suo fratello. Non passò nemmeno dalla sua stanza, andò direttamente in mansarda dove suo fratello aveva il suo appartamento, autonomo, tranne per il fatto che i pasti venivano comunque consumati al piano terra, insieme al resto della famiglia.

«Posso parlarti?»

«Sì, ma in fretta, devo andare a correre con papà. Ma torni adesso?»

«Sì. Ho dormito fuori.»

«Datti una sistemata, allora, sai che mamma odia la sciatteria, soprattutto per il pranzo della domenica.»

«Sì, prima di scendere passo da camera mia.»

«Allora, cosa volevi?»

«Volevo chiederti un prestito.» Si era preparato un discorso ma alla fine decise di partire da lì. Le domande di Matteo lo avrebbero aiutato ad arrivare al punto, forse.

«Per cosa?»

«Devo fare un regalo di compleanno a una persona.» Ok, poteva davvero arrivarci così. Solo nominare Elia, definendolo "persona a cui fare un regalo" gli restituì il coraggio che aveva perso dall'inizio di quella conversazione.

«E non puoi usare i soldi sul tuo conto?»

«Quelli non sono miei.»

«Sì che sono tuoi.»

«Ma non li ho guadagnati. Voglio fare un regalo con soldi miei.»

«Li stai chiedendo a me, quindi sarebbero soldi miei.»

«Sì, ma in prestito, te li ridò appena riesco a trovare un lavoretto e a guadagnarli.»

Matteo sospirò, innervosito da quel discorso contorto e per lui privo di senso, ma incuriosito dalla determinazione di Luca, che in quella stessa curiosità vedeva l'appiglio a cui aggrapparsi per affrontare il discorso con lui.

«Di quanto parliamo?»

«Duecentocinquanta, circa.»

«Gioiello?»

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