36. Vivo?

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«È tornato?»

«Poco fa ho chiamato e ancora non avevano notizie.»

«Capisco.» La donna abbassò lo sguardo sul suo bicchiere e lui capì da quell'occhiata vuota che stava pensando le sarebbe piaciuto fosse più che succo d'arancia.

«Domani c'è anche il meeting per rivedere gli obiettivi trimestrali, non so davvero cosa dovrei dirgli: "mi dispiace che tuo figlio sia sparito?" Non voglio toccare questo argomento, è imbarazzante, più per lui che per me, ovviamente.»

Ah, è imbarazzante per te e per suo padre? Non pensi a come si sente lui? Dov'è? Cosa sta facendo? Dovrei essere lì con lui e invece ho mandato tutto a puttane.

«Tu sei sicuro di non saperne niente? Se lo stessi proteggendo non ci sarebbe niente di male, siete amici da sempre. Rebecca dice di averlo visto l'ultima volta prima di cena e di averlo riaccompagnato fino al campo sotto casa perché lui voleva allenarsi un po'. Ti ha chiamato, per caso?»

«Per la centesima volta, non li ho sentiti, papà.» Nessuno di loro mi ha chiamato, e il campetto è chiuso.

Lanciò ancora un'occhiata a sua madre, che ascoltava tutto, con l'aria di chi ha la mente altrove, mentre con l'indice si grattava la base dell'unghia del pollice, come ogni volta in cui era nervosa.

«Ma come è possibile che non sapessi niente?»

«Non lo so, forse non me l'ha detto perché sapeva che avrei provato a fermarlo, o l'ha deciso sul momento, magari!» alzò la voce, attirando l'attenzione della madre, che lo guardò per un attimo, prima di riportare lo sguardo sul suo bicchiere ancora pieno. Sofia intanto stava portando via i piatti, cercando di disturbarli il meno possibile.

Non doveva andare così. Avevo risparmiato abbastanza soldi per quando sarebbe successo, ho fatto quello che ho fatto solo per noi, e non è servito a niente.

«Teresa, il succo!» sentì suo padre rivolgersi a sua madre e poco dopo lei annuì, prima di prendere un piccolo sorso dal suo bicchiere.

«Sì, scusatemi, questa mattina il mal di testa è arrivato un po' prima, credo che andrò a stendermi.»

Entrambi la guardarono lasciare la stanza, dopodiché il padre finì in silenzio il suo caffè, si alzò, e con gli occhi fissi sull'orologio si rivolse al figlio: «Ho il campo da tennis prenotato per le dieci, dì a tua madre che se ha bisogno può chiamarmi al club», prima di lasciare anche lui la sala da pranzo.

Yuri restò lì, insieme agli avanzi della colazione. Gli avanzi dei suoi genitori, in senso affettivo, erano comunque ciò di cui viveva, da due anni a quella parte.

Erano quasi le undici quando la madre bussò alla porta della sua camera. Lui aveva il cellulare in mano, indeciso se chiamare Luca o no. Gli avrebbe risposto, in ogni caso? Sua madre entrò senza invito e si andò a sedere sul letto. Sembrava abbastanza lucida da camminare normalmente e avere una conversazione decente, allora perché si era messa a sedere? Un attacco di emicrania?

«Stai bene?» La guardò dalla sedia della scrivania a cui era seduto, davanti al libro aperto a pagina quarantuno da almeno un'ora.

«Sì, volevo solo sedermi un attimo qui, guardarti mentre fai le tue cose.»

«Mamma, questo è strano e inquietante.»

«Sei cresciuto» constatò lei.

Sai, capita, quando non muori, di crescere in due anni.

«Non oso pensare a cosa stia provando Margherita adesso. Se fossi tu al posto di Luca io sarei nel panico.»

«E invece sono qui, con te che mi guardi mentre "faccio le mie cose"» provò a scherzare, ma c'era troppa tensione nell'aria per sorridere.

E tu chi sei?Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang