Prologo

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•Ma forse, un giorno tu busserai
ancora alla mia porta, ed io,
mi amerò così tanto da non aprire•
C. Bukowski

Alex

Ci sono volte in cui vorresti solo urlare nel deserto, durante una notte cristallina, dove nessuno ascolta la tua voce straziata dal dolore interno della propria anima.
Esistono volte, in cui vorresti solo perderti in un bosco sperduto in mezzo al nulla soltanto per piangere senza che nessuno stia lì a dirti se tutto andasse per il verso giusto.
Altre ancora, che basterebbe mettere le cuffie nelle orecchie e alzare il volume della musica per mettere a tacere ogni singolo essere umano attorno a te e non sentire il rumore assordante del mondo che ti circonda.
Altre volte, vorresti solo che qualcosa ti perforasse il cuore in modo da non sentirlo più battere incessantemente quando un paio di occhi, colmi di caos incessante, ti guardavano in una maniera indescrivibile. Ti guardavano come se fossi la persona peggiore del mondo, pronto a farti del male e trascinarti in un oblio profondo, senza via di uscita.
Un paio di occhi da gatta, color cioccolato, così ipnotici che persino Lucifero venderebbe la sua anima. Erano strazianti, desiderosi di verità sconosciute e passati tortuosi in attesa di risposte.

Avrei tanto voluto trovarmi in una delle tre situazioni citate prima, ma chi mi proteggeva da lassù, ovunque fosse, volle che un'anima così spietata e lussuriosa mi trascinasse con sé in un abisso profondo, tanto da farmi dimenticare che lì in alto ci fosse vita. Vita dalla quale venni sottratto, estraniato, alienato. Vita estraniata dalla natura e dal mondo, vita che diventò un loop infernale e sensuale tanto da travolgermi e intrappolarmi in quel girone. Una vita che non sentivo più mia, priva di senso e piena di desideri ardenti. Mi bruciavano il cuore e la mente.

Mi aveva tolto tutto, lasciandomi solo in un angolo a rimuginare sugli errori e sulla fiducia che io stesso le avevo dato. Le avevo permesso di insinuarsi nella mia vita, di fare la sua routine tutto ciò che avevo costruito passo dopo passo. I miei sacrifici si erano frantumati in mille pezzi, come se fossero uno specchio caduto per terra per poi lasciarmi alle spalle sette anni di duro lavoro, sudore e forze deboli. Ma non passarono sette anni, bastarono sette minuti per rovinarmi l'esistenza.
Sette fottuti minuti, per lasciarmi soggiogare da uno sguardo felino, allo stesso tempo dolce e angelico. Sette dannati minuti, per firmare il mio stesso funerale. Sette minuti, per donarle il mio cuore e vederlo diventare polvere da sparo. Sette minuti, per rendermi conto che quella donna dai capelli cioccolato e il corpo pieno di peccati, mi avrebbe reso il suo schiavo. Sette minuti, per capire che quella donna sarebbe stata la mia Cleopatra e io il povero Cesare pronto a morire d'amore.

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