1. I'ts a new day, it's a new life

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•Chi non vuole far sapere una cosa
non deve confessarlo nemmeno a se stesso•
G. Andreotti

Eris❤️‍🔥

Strusciavano sul pavimento, e battevano forte, come se fossero dei blocchi di cemento trascinati con malavoglia. Delle volte si rompevano in mille pezzi e poi si rigeneravano, come se fossero delle cellule ferite le quali guarivano dopo giorni di cure.
Rimbombavano nel corridoio, come se fossero martelli su incudini, producendo un rumore assordante. Ricorrevano alla libertà.
Le luci sopra di me illuminavano questo lungo corridoio, in balia di cedere da un momento a l'altro per tutte le crepe che le mura riportavano. Era proprio una merda, questo posto.
La tuta che indossavo mi aveva accompagnato per cinque lunghi anni. Mi sarebbe dispiaciuto non indossarla più, ma la pena era stata scontata per mancanza di prove. E questo, solo dopo cinque lunghi anni della mia dannata esistenza.
Stavo uscendo da questo penitenziario consapevole di non aver fatto nulla, proprio come entrai cinque anni fa. La polizia non mi credeva, la giuria non mi credeva. Persino i miei genitori, non mi credevano. L'unico era mio fratello, che ogni giorno della sua vita spendeva un'ora del suo tempo prezioso per venire a trovarmi. E quando non poteva, mi ritrovavo regali e lettere da parte sua. Per lui avrei ucciso anche la più innocente delle anime.

Mi fermai, a guardare l'entrata delle docce per l'ultima volta. Niente uomini, in questa prigione. Solo donne affette da malattie mentali e problemi post traumatici di arresto. Nessuno era sano di mente, nemmeno io mi reputavo tale. Soffrivo di mutismo selettivo e apatia grave. Le uniche emozioni che provavo, erano verso mio fratello. Lui le meritava, mi aveva salvata.
Tolsi scarponi e tuta arancione, liberai i capelli dalla coda e mi avvicinai a un box doccia. Fra meno di due ore avrei attraversato il corridoio di entrata, diventando una donna libera appena varcata la soglia. Chiusi gli occhi, e mi beai di quelle goccioline gelide che mi attraversavano il corpo. Rimasi per dieci minuti abbondanti, sciacquando via ogni singolo residuo di malessere e merda accumulata in questi dannati cinque anni.
Essere accusata per qualcosa che non avevo fatto, era l'esempio di quanto il sistema fosse corrotto e di quanto il mondo facesse schifo. Era popolato da uomini destinati a comandare al posto delle donne, non c'era uguaglianza e il rispetto verso il popolo femminile andava a scemare sempre di più. L'umanità stava scomparendo, l'avarizia camminava lenta e assorbiva tutto ciò che la circondava e la superbia si faceva strada accanto a lei, dominando ogni singolo paese. Non c'era più carità, in questo mondo. Solo uomini in giacca e cravatta che si credevano Dei scesi dall'Olimpo per governare al posto delle donne. Ma se il mio nome significava discordia, allora qualche speranza nel mondo c'era ancora.

Abbandonare una vita costruita in cinque anni, non era mai facile. Avevo solo ventunanni quando misi piede per la prima volta dentro questa bettola. Ora ne avevo ventisei, e tutta questa frenesia nell'uscire e prendere una boccata d'aria, mi sembrava solo un sogno costruito dal mio inconscio.
Desideravo arrivasse questo giorno da tempo, non mi sembrava vero.
Mi ero fatta delle amiche, qui. All'inizio odiavo ogni singola donna che intralciava il mio cammino tortuoso, ma dopo qualche coltellata e rissa in cortile, formai un gruppo di ragazze squilibrate e con problemi alla testa. Perché rinchiuderci in prigione e non in un ospedale psichiatrico?
Me lo chiedevo, mentre recuperavo i miei vestiti e li indossavo. Tirai un sorriso malinconico, niente era più bello di cambiare una tuta arancione trasandata con un paio di cargo e un top nero. I piedi vennero accolti dalle amate Nike e un sospiro di sollievo uscì dalle mie labbra. Stavo per uscire, e non mi sembrava di vivere la realtà.
<<I suoi averi, Miss. Mendez.>> La guardia della portineria mi porse una scatola con dentro ciò che avevo raccolto nel passare del tempo. Le lettere di Ares, i suoi regali, qualche souvenir della prigione, e dei diari che usavo come valvola di sfogo.
<<Grazie, Suarez.>> Feci un cenno con la mano e lei ritornò al suo lavoro, mentre io giravo i tacchi e mi lasciavo tutta quella merda alle spalle. A mai più, penitenziario di New York.

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