3. I don't trust nobody and nobody trusts me

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•Non mi fido molto delle statistiche,
perché un uomo con la testa nel forno acceso
e i piedi nel congelatore statisticamente
ha una temperatura media.•
C. Bucowski.

Eris❤️‍🔥

Ogni volta che avevo paura, da piccola, mamma mi diceva sempre di pensare alla pioggia come sorte di terapia mentale. Strano, da dire a una bambina di cinque anni. Mi accarezzava i capelli e mi suggeriva di chiudere gli occhi, ascoltare il rumore fuori la finestra e pensare a una pioggia rigenerante.
Aveva una strana concenzione, mia madre, nel tranquillizzare la sua stessa figlia di nemmeno sei anni. Ma, in quel momento, pensai alla pioggia.
Non perché mi trovavo sotto un acquazzone incessante, o perché fossi bagnata dalla testa ai piedi e i miei capelli si stessero appicciando al viso. Erano quegli occhi, a impanicarmi.
Occhi fissi nei miei, che brillavano e vivevano. Luccicavano propriamente, contornati da un filo dorato. Mi sentivo in soggezione, con quelle iridi verdi come fluorite. Così splendenti che un brivido mi percorse la schiena. Come facevano a brillare da soli, se sopra di noi la pioggia non cessava?
<<Tutto bene?>> la voce calma, un sussurro. Tremai, ancora aggrappata a lui e alle sue braccia palestrate. Indossava giacca e cravatta, il tesserino penzolava dal suo collo e le sue labbra rosee mi distrassero. Scossi la testa e mi rincomposi, mi diedi da sola della bambina di dieci anni e mi staccai di colpo, rimanendo sotto il suo ombrello.
<<Si, grazie.>> distaccata, robotica. Non volevo avere a che fare con nessuno di loro, quei bastardi dovevano essere rinchiusi in delle celle d'acciaio sopra un'isola sperduta.
<<Eris!>> mi voltai, ritrovandomi mio fratello in corsa verso di noi. Aveva un ombrello nella mano e la valigetta nell'altra, non persi tempo e mi rifugiai da lui coprendomi dalla pioggia e scappando da quell'uomo dagli occhi brillanti.
<<Ares.>> ebbe l'attenzione del ragazzo al mio fianco. Si conoscevano, ovviamente. <<Hai già parlato con la squadra?>> chiese, questa volta ignorandomi.
<<Sì, questa sera dovremo vederci per una cena di lavoro. Sarai dei nostri?>> domandò, portando un braccio intorno a me come se mi stesse proteggendo dall'uomo in giacca e cravatta.
<<Sarò a capo della squadra, parleremo dettagliatamente del programma.>> disse, fermo, poi mi guardò sollevando un sopracciglio e piegando poco il labbro. <<Lei è la tua nuova conquista?>> chiese, addolcendo il tono.
<<Eris, lui è Alex. Il miglior agente dell'FBI in circolazione.>> prova a risolvere il mio caso, poi ne parliamo mr.FBI. <<Mia sorella, nonché mia accompagnatrice per questa sera.>> fermi un attimo. Cosa?
Schizzai con il viso su quello di Ares, trucidandolo metaforicamente per la cazzata che aveva detto. Se pensava davvero di trascinarmi con lui e i suoi amici con abiti costosi, se lo scordava di grosso.
<<Pefetto, allora.>> tagliò corto lui, sorridendo con aria strana. <<Ci vediamo questa sera.>> salutò entrambi e sparì nel traffico pedonale di New York.
Mi ripresi un attimo, rimasi in silenzio fino a quando non entrai in macchina. Alla fine esplosi, non contenendo la rabbia trattenuta.
<<Che cazzo vuol dire che sarò la tua accompagnatrice?>> sbottai, infuriata con lui e il suo improvviso asso nella manica.
Ares prese un respiro, accese la macchina e si imboccò nel traffico.
<<Eris, se vuoi fare bella figura nella soc->> lo bloccai prima che potesse continuare.
<<Non mi interessa un cazzo, Ares. Io non ci vengo, fine della storia.>> conclusi, portando le braccia sotto il petto e guardando tutto tranne che lui. Avevo ancora gli occhi del ragazzo impressi nella mente. Dio, che stupida.
<<Ora basta.>> fermò la macchina di botto e per poco non finivo contro il cruscotto. Spalancai gli occhi e guardai Ares. Voleva ammazzarmi, per caso? <<Capisco il tuo problema, con quelli con cui lavoro, ma così non può andare. Vuoi essere presa sul serio? Lo capisco, ma devi fare quello che dico io, intesi?>> no, Ares, ho ventisei anni e so gestire la cosa abbastanza bene. Con del melodramma, ma so gestirla. <<Tu a quella cena vieni, fai la simpatica perché so che riesci a farla, e non dirai nulla riguardo il tuo dannatissimo incidente. Intesi?>> il sarcasmo era il mio cavallo di battaglia. Se non ero esplosa prima, con tutti quei pezzi di merda attorno a me, era grazie a lui.
<<Sono consapevole delle mie azioni, Ares. Ma io, a quella cena, non ven->> ancora una volta, mi bloccò e ripartì con la macchina.
<<Avrai un colloquio di lavoro, domani mattina. Senza se, senza ma.>> la sua strafottenza di ciò che mi riguardava, era più grande del mio ego. <<Serve una ragazza brava con l'osservazione, tu hai occhio, e sarai presa come consulente visiva. Perciò tu, a quella cena, verrai.>>

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