Capitolo 5

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Riprendo i sensi di fronte al dolore di un cuore spezzato.

Un cuore trafitto dalla freccia che la statua in metallo di Robin Hood è in procinto di scoccare con il suo arco, situata nella parte della foresta a cui è vietato l'accesso ai visitatori.

Situata nel punto in cui nessuno si dovrebbe trovare a quest'ora.

Tanto meno io.

Cosa ho fatto?

La punta metallica sbuca dal petto dell'uomo senza vita in un mare di sangue ancora pulsante che luccica sotto la luce della luna nel buio della foresta. Ha le braccia aperte, la testa reclinata all'indietro, le punte dei piedi che toccano terra.

Fatico a processare l'immagine che ho davanti ai miei occhi. Mi appare irreale.

Ma il dolore che mi dilania il petto, che brucia nelle vene, che mi fa gettare le ginocchia a terra, è senz'altro reale.

È reale come la terra umida di rugiada che stringo in un pugno, come la goccia di sangue che mi cola sulla fronte.

La raccolgo con il retro della mano e tremando la osservo. Ne annuso l'odore pungente come se la vista non fosse abbastanza per convincermi.

E spero ancora che la vista che mi stia ingannando, che quei capelli scuri che pendono dalla testa dell'uomo non appartengono a chi sospetto.

Che cosa ho fatto?

Mi alzo in piedi con il respiro affannato e la mente annebbiata.

Devo sapere a chi appartiene questo sangue, questo dolore.

Giro attorno alla statua e mi trovo davanti alla testa di Patrick piegata all'indietro in modo innaturale. Ha le palpebre spalancate e nei suoi occhi scuri si riflette la luna.

E allora vedo la freccia. Non quella che gli trapassa il cuore, bensì un'altra freccia piantata nella sua spalla destra. E la riconosco. Non è la prima volta che la vedo.

È una di quelle frecce che fanno parte del kit di emergenza della guardia forestale che teniamo nel sottoscala. Contiene la dose di veleno necessaria per stendere un orso e stordito per qualche ora.

Anche se di orsi nella foresta non ne abbiamo mai visti.

E ora è conficcata nella spalla di colui che era il mio unico amico.

Che cosa ho fatto?

Un lamento alle mie spalle mi avverte che non sono solo.

Annabel ha la schiena poggiata contro un'albero proprio di fronte al cadavere. La testa è inclinata su una spalla, la tempia sporca di sangue. Lo stesso sangue che macchia una pietra poco lontana dal suo corpo, dalle sue braccia stese a terra, i palmi aperti rivolti verso le stelle.

La realtà si fa ancor più concreta quando mi inginocchio davanti a lei, prendendole al testa tra le mani, mormorando il suo nome in preda al panico, le lettere che si mischiano alle altre in un suono confuso e disperato.

"Chi è stato a farti questo?" le dico sperando che possa sentirmi.

Sono stato io?

Il suo corpo non risponde alle mie suppliche, le sue palpebre restano chiuse, immobili. Respira ancora. Sento il battito del suo cuore sotto le mie dita sul suo collo.

Devo portarla via di qui.

Se urlassi nessuno ci sentirebbe qui.

Nessuno dovrebbe essere qui. Non ho idea di come io sia finito qui. Di come loro siano finiti qui. Di che ci facciano loro due qui. Insieme.

La Maledizione dello SpezzacuoriWhere stories live. Discover now