Capitolo 8

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Decido di pedalare fino a scuola. Ci impiegherò più di mezz'ora ma perlomeno sarò discreto. Mike noterebbe di certo l'assenza della sua automobile, qualora si svegliasse prima di domattina dal sonno profondo in cui l'ha mandato la birra.

Prima di uscire di casa mi assicuro di aver chiuso la porta di camera mia e di aver disfatto il letto nel caso in cui non tornassi prima di domani mattina.

Mi sono attrezzato di uno zaino con dentro una torcia e l'ovetto con i soldi (mille sterline, a voler esser precisi) trovato nel bosco. Ho preferito non nasconderlo nel comodino assieme ai calzini nel caso in cui la polizia fosse venuta a frugare tra le mie cose.

Scendo le scale scalzo per non far rumore e mi infilo le scarpe prima di scendere l'ultimo gradino.

Faccio il giro della casa ed apro il portone del garage per tirare fuori la bici. Ma noto che qualcosa in lei non va. Tasto la ruota anteriore con il piede e i miei sospetti vengono confermati: è sgonfia.

Torno nel garage per cercare il gonfiatore quando sento dei rumori alle mie spalle.

È solo il vento, mi dico. Tira forte tra gli alberi facendo oscillare i cespugli e tremare le foglie.

"Fergus?" sussurro ipotizzando che mi abbia seguito.

Mi tiro sù la zip del gubbino ed esco a cercarlo. Apro i rami del cespuglio pensando che si stia nascondendo tra di essi ma ciò che trovo è tutt'altro.

Un foglio protocollo dall'inchiostro blu sbavato dalla pioggia e asciugato dal vento.

Illeggibile.

Non è mio. Non utilizzo le penne blu.

Le macchie lasciate dall'inchiostro fanno pensare che qualcuno ci abbia disegnato qualcosa di piccolo sul lato destro e scritto poche parole per righe su quello sinistro.

Lo piego a metà e lo infilo nello zaino.

Arrivo a scuola un'ora prima della mezzanotte.

Entro dalla porta del laboratorio di chimica che da sul giardino sul lato posteriore della scuola. È sempre aperta, come Patrick mi mostrò una mattina in cui eravamo entrambi in ritardo ed avevano chiuso le porte dell'ingresso principale.

Oggi c'era il test di chimica, mi ricordo improvvisamente. Mi auguro che sia stato rimandato dato che metà della classe era impegnata al distretto di polizia.

Uso la torcia per orientarmi nel buio e trovare la strada che porta allo stanzino del bidello.

Giro la maniglia piano, stringendo i denti al suo rumore stridulo, sperando di esser solo in quest'aula della scuola, pregando che il guardiano notturno si sia addormentato.

Mi chiudo la porta alle spalle e tiro la corda collegata alla lampadina a bulbo appesa al soffitto da una corda che la fa oscillare, illuminando dapprima la riserva di rotoli di carta igienica impilati contro la parete, poi i tre scaffali su cui sono ammassati dei prodotti per la pulizia dei pavimenti (che, a giudicare dalle ordinarie condizioni, vengono usati raramente), e infine un armadietto dalla vernice rossa che in alcuni punti è venuta meno, lasciando fuoriuscire la ruggine.

Inserisco la chiave nella serratura. Click. Si apre con un cigolio metallico svelando al suo interno un borsone nero e nient'altro.

Lo tiro fuori di fretta e la cerniera rimane impigliata a metà strada nel mio tentativo di aprirlo. Ma mi lascia abbastanza spazio da vedere cosa c'è al suo interno: pantaloni scuri, magliette a mezze maniche, mutande da uomo. E per far svanire oggi dubbio sull'appartenenza di questi vestiti, c'è anche l'iconica camicia a quadri di Patrick e le sue Vans di seconda mano dalla suola consumata.

La Maledizione dello SpezzacuoriWhere stories live. Discover now