41. Batti il ferro finché è caldo

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A fine capitolo  viene descritta una scena cruenta. Ai lettori sensibili consiglio di saltare la sua descrizione e passare all'episodio successivo.

“Che pezzo di merda… prendermi alle spalle è da vili.”

Tipico di Derias, un ragazzino troppo cresciuto che crede di avere tutto sotto il suo controllo. La realtà è che non possiede un cazzo.

Qualche anno fa era la stessa persona abietta di oggi. È per questo che gli ho giurato vendetta, ma non è proprio il momento di farmi perdere tempo.

“Non c’è motivo di soppesare la propria viltà quando hai il tuo nemico sotto scacco. Ammettilo, stavolta ti ho fregato io.” La sua risata carica di godimento si diffonde nel locale ormai vuoto. Deve fare un solo errore e quella faccia gliela cancello.

“Rimani un codardo qualunque cosa tu faccia.” La sua mascella s’indurisce alle mie parole, sento i suoi denti che sfregano tra di loro. Posso fotterlo, la mia superiorità sembra essere ancora motivo di angoscia per lui. “Perché sei ancora dietro la mia schiena? Credi di potermi intimorire con una pistola? O pensi che puoi avere il controllo solo così, colpendo alle spalle?” Stavolta la risata soddisfatta è mia. “Vigliacco.”

Non c’è niente di più bello di far crescere l’ira di chi si ha di fronte, per potersi servire di questa emozione e sfruttarla a proprio vantaggio. Sto valutando ogni particolare che ho attorno, ogni suo movimento, studio ogni dettaglio per approfittare di qualsiasi debolezza possa mostrare.
Il coglione, nel momento di rabbia, prima mi avvolge la trachea con la sua mano libera, fa leva spingendo la pistola dietro con l’altra. Poi mi lascia respirare girando attorno a me, fino a palesarsi dall’altra parte del tavolo con l’arma ancora puntata addosso.

“Chi è il codardo?” Chiede col viso contratto.

“Sempre tu. Cosa ti porta dalle mie parti?” Non distolgo l’attenzione da lui neanche per un istante. Mi sta irritando sul serio questo idiota.

Ride ancora. “Cosa porta te nella mia città!”

È il mio turno di ridere di gusto. “Come cazzo l’hai chiamata? Non sarà tua neanche se vinci una guerra per ottenerla.”

“Ridi pure, intanto questo quartiere è mio. Non si muove una foglia finché non parlo io. Tu all'alba hai dato fastidio a un mio uomo, ora pagherai la tua insolenza!” Termina il suo piccolo monologo, lo pseudo capo, alzando la voce.

Mi blocco alle sue ultime parole. Sono qui da meno di 24 ore e ho già fatto danni? La mia risata esce come un terremoto annuncia il suo arrivo, facendo tremare il mio petto per poi esplodere. “Quando cazzo avrei fatto una cosa del genere…?”

La mia mente trilla intanto che collego i vari momenti di questi ultimi giorni qui a Damasco. L’unico a cui ho sfasciato la faccia è l’uomo che sedeva sui gradini della mia stanza, questa mattina. “Non mi dire! Hai già dei sottoposti e non servono nemmeno a un cazzo… mezzi ubriachi si fanno spaccare la mascella senza riuscire a difendersi. Ma guarda, che passi da gigante, che uomo!” Parte un applauso così falso da irretirlo all’istante.

Il viso si contrae in una smorfia di rabbia mista a impazienza che mi infonde un piacere smisurato: sta cadendo nella trappola che ho studiato per lui mentre   cercavo di farlo parlare. L’ho distratto quel poco che basta per prendere il controllo e divertirmi un po’ con questo coglione.

Derias comincia a ribollire dentro, come una vecchia teiera, fatica a respirare. Butta fuori la collera dalle narici dilatate in una smorfia di disgusto. Mi regala una frenesia profonda di spaccagli il naso, lo pregusto quasi sulla lingua, come se potessi assaggiare il suo sangue, come se lo avessi già sulle mie papille che vibrano.

Nella mia natura Where stories live. Discover now