Di occhi azzurri, camici bianchi e schizzi di minestra

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3 novembre 2018 - sabato

Dopo le emozioni della mia notte movimentata, sono crollata in un sonno profondo e mi sono svegliata soltanto all'una del pomeriggio. Tutto era silenzioso e l'unico rumore era quello del temporale. Cosa c'è di più piacevole che starsene acciambellati al calduccio sotto le coperte, cullati dal piacevole suono della pioggia battente? Quasi niente, per cui ho continuato ancora per un po' a dormicchiare, tranquilla e beata.

Poi mi sono alzata e mia madre era già andata a lavorare, per cui, fortunatamente, una eventuale litigata era rimandata di qualche ora. Mio padre era sul divano insieme al gatto e tutti e due apparentemente stavano guardando un film. Sono andata in cucina dove ho trovato una padella con della pasta da riscaldare e mi sono messa lì a mangiare, guardando distrattamente il telefono. Gli unici messaggi presenti erano quelli della chat del gruppo dei ragazzi della parrocchia, che proponevano di andare al cinema l'indomani sera.

Finito di mangiare, ho raggiunto mio padre sul divano e lui mi ha chiesto com'era andata la serata, cos'era successo, e ha detto che mia madre si era agitata moltissimo non vedendomi tornare e sentendo che il mio telefono era sempre spento. Io gli ho raccontato per sommi capi gli avvenimenti della nottata, insistendo sul fatto che mi ero trattenuta parecchio all'ospedale. Poi ho modificato un po' il racconto, in modo da evitare di dirgli che mi ero ritrovata a vagare da sola di notte per le strade. Soprattutto ho evitato di raccontargli l'incontro col maniaco. Gli ho detto che per non disturbarli avevo chiamato un mio compagno di classe, chiedendogli che venisse a prendermi all'ospedale per portarmi a casa, ma che lui era in giro e avevo dovuto aspettare che si liberasse. Nel frattempo il telefono si era spento ecc. ecc... Mi sto rendendo conto che quasi non passa giorno senza che io racconti qualche palla.

A metà pomeriggio ho provato a mandare un messaggio a Cate, chiedendomi se sarebbe stata in grado di rispondere. Sì, lo era: "Sto abbastanza bene, mi vieni a trovare dopo? Dai che ti racconto un po' di cose." Io mi sentivo un po' troppo zombi per uscire di casa e poi tutta quella pioggia... La sola idea di prendere due autobus per andare all'ospedale mi gettava nello sconforto. Per non parlare del fatto che non avevo nessuna voglia di rischiare di incontrare il padre di Cate. Le ho scritto dicendole che magari sarei andata a trovarla il giorno dopo. Lei ha risposto ok, ma sembrava delusa.

Allora, dopo un ulteriore scambio di messaggi da cui, per vie traverse, sono riuscita ad appurare che non era previsto che il suo inquietante padre fosse presente nel pomeriggio, ho deciso di chiedere al mio rassicurante padre se poteva portarmi in macchina su all'ospedale. Quel sant'uomo ha acconsentito e ha detto che intanto che io facevo visita a Cate, sarebbe andato a fare un po' di spesa.

Quindi, verso le sei di sera, mi sono ritrovata nuovamente nel grande atrio con la scultura astratta. Anche stavolta mi sono fermata ad osservarla, riflettendo su come solo poche ore prima ero nello stesso punto, ansante e terrorizzata, con il padre di Cate che mi seguiva per propormi un passaggio e parlarmi di chissà cosa. Forse mi ero comportata come una deficiente, a fuggire così. Chissà.

Stavo per incamminarmi, quando vicino a me si è materializzata una presenza. E che presenza! Era Lui! Lui proprio Lui! Con il labbro spaccato e un livido sotto un occhio! E in mano una borsa di tipo sportivo. Oddio, non mi ero resa conto di quanto avessi bisogno di vederlo. Il mio cuore ha iniziato a fare le capriole dalla gioia.

"Ti interessa la scultura moderna?", mi ha chiesto.

"Beh, non proprio... è che anche stanotte ero qui e stavo notando la differenza di illuminazione. Le luci erano quasi tutte spente e l'effetto era completamente diverso", ho risposto io, incredibilmente più a mio agio rispetto al solito. Forse ero troppo cotta per farmi paranoie inutili.

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