29.

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Rylie.

La musica mi rimbombava nelle orecchie anche se non era poi così alta, ma io sentivo come se mi stesse esplodendo nei timpani. Afferrai un bicchiere dal tavolo e mi spinsi verso il piano bar per afferrare un qualsiasi alcolico, purché reprimesse quel dolore lancinante al petto. Avevo voglia di strapparmi i capelli, di urlare e piangere per la disperazione.

Perché ero una stupida. Stupida. Stupida, e stupida.

Avevo baciato Dylan, ed era stato l'unico modo che avevo trovato per farlo risalire dal buio. E mi sentivo uno schifo. Mi sentivo così in colpa verso me stessa e soprattutto verso di lui, tanto che mi sarei voluta mangiare la mia stessa lingua. Ma la cosa più brutta era che lo avevo fatto solo perché ero terrorizzata da quello che stava dicendo, ero terrorizzata dall'abisso in cui era caduto e non avevo un idea migliore per tirarlo fuori.

Quello che aveva detto, come lo stava raccontando... Santo Cielo, era stato come un film dell'orrore.

Mi guardai intorno confusa mentre la testa si inondava di alcool e diventava meno pensate. Ava era sparita con Michael in qualche stanza al piano di sopra ed io mi ero ritrovata da sola, a girovagare, perché dovevo stare lontana da Dylan e non avevo intenzione di rivederlo se non prima mi fossi levata dalla testa quello che era successo poche ore prima in camera sua. Non lo volevo affianco, non sarei nemmeno riuscita a guardarlo negli occhi. Mi faceva paura l'idea di respirare la sua stessa aria dopo quello che avevo fatto, visto che mi ero ripromessa che non sarebbe più accaduto dopo la prima volta. Lo volevo nella mia vita, ma baciarlo era stata una pessima mossa verso me stessa e soprattutto verso di lui.

«Ti hanno mai detto che affogare i pensieri nell'alcool non é mai una buona idea e potrebbe ritorcerti contro?»

Drizzai le spalle, e mi voltai. Sbattei le palpebre più volte, non capendo se mi ricordassi bene o fossi solo confusa da quello che avevo bevuto. Collins, il tipo che avevo incontrato in quel locale con Connor mi stava davanti, era appoggiato al pilastro della veranda che dava sulla piscina, e mi fissava con un sorrisetto di sghembo sulla bocca.

«Stai parlando con me?» Mi puntai un dito addosso e feci un passo indietro barcollando sulle gambe ormai molli, quando i suoi occhi gelidi si posarono nei miei. Avevo bevuto, ma ero abbastanza lucida da capire cosa mi succedeva intorno.

«Ci somigliamo.» Disse, spingendosi verso di me, riferendosi al fatto che eravamo stati creati con gli stessi colori.

«Per niente.» Aveva una cattiva aria intorno, e puzzava di marcio. Quel tipo non aveva niente che mi facesse sentire a mio agio, a parte l'estrema bellezza di cui era palesemente dotato, ma quello non contava nulla.

Era cattivo, una brutta persona. Glielo si leggeva chiaro e tondo in faccia, con quei lineamenti diabolici che gli solcavano il viso che non aveva mai fatto niente di buono nella vita.

«Occhi verdi, capelli biondi, pelle candida.» Si calò in avanti e ispirò con il naso vicino al mio collo. «Dio, non ho mai sentito niente di più buono al mondo.»

Drizzai le spalle e lo canzonai, spingendolo con le mani sul petto per andare via, ma lui mi afferrò facendomi voltare.

«Lasciami, non toccarmi.» Ringhiai, a denti stretti.

«Mh.» Mi morse il dorso della mano, affondando i denti ma senza creami alcun dolore, come se stesse assaporando il sapore della mia pelle. Rabbrividì. «Sei cattiva, la tua pelle sa di innocenza e sento l'odore del tuo sangue puro attraverso le vene. Ora capisco perché Devon ucciderebbe per te.»

Sbarrai gli occhi e mi irrigidì, forse si stava riferendo a Mason e a quello che aveva fatto quella sera al locale. Ma comunque, sembrava un fottuto psicopatico con cui non volevo avere nulla a che fare.

Fino ai tuoi occhi - Secondo volumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora