37.

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Dylan.

Mi ficcai una sigaretta in bocca non appena uscì nel cortile della Columbia e aspirai a pieni polmoni, intrappolando il fumo fino a sentire la gola bruciare.

Mi guardai intorno per l'ennesima, ma niente. Lei non c'era.

Era il secondo giorno che saltava le lezioni, e il suo telefono continuava ad essere staccato. Ed io stavo impazzendo, letteralmente impazzendo.

«É già la quinta sigaretta oggi, vacci piano. I tuoi polmoni devono essere in forma.» Michael mi arrivò alle spalle e mi circondò il collo con un braccio, inondando la mia aria con quel fastidioso profumo in cui faceva il bagno ogni mattina.

«Ti é passata l'arrabbiatura?» Alzai un sopracciglio e lo fissai con una smorfia.

Non ci vedevamo dal giorno degli allenamenti, anche lui aveva saltato le lezioni per aiutare suo padre in un progetto. Presto avrebbe preso le quote della società di famiglia, e si sarebbe dovuto dividere tra il basket e l'ufficio. Mi chiesi come avrebbe fatto a gestire tutto, ma sapevo anche che Michael aveva fegato e non dormiva mai, quello forse l'avrebbe aiutato a stare appresso a tutto.

«No.» Mi rubò la sigaretta dalle mani e ne fece un tiro, sbuffandomi il fumo in faccia. «Ma hai bisogno di me, quindi spara, risolviamo la questione.»

Sbattei le palpebre più volte, ed alzai un angolo della bocca. Me lo scrollai di 'dosso e mi appoggiai al muretto che divideva la siepe, sperando che Jeremy e James non si avvicinassero. Anche loro erano i miei migliori amici, ma con Michael non c'era storia, lui era mio fratello e basta.

«Mia madre ha falsificato il test del DNA di Richard e Rylie, in modo da non avere compatibilità.» Gli rivelai, senza esitare.

Se non ne avrei parlato con qualcuno, sarei impazzito a breve.

Michael sbarrò gli occhi e spalancò la bocca. Forse, non si aspettava un simile comportamento da uno dei miglior avvocati in circolazione che aveva preso parte a processi di fama nazionale, e invece anche lei era marcia dentro. E la cosa peggiore era che stava facendo del male all'uomo che diceva di amare.

«Ma che cazzo?» Sbraitò.

«Non chiedermi come c'è riuscita, perché non ne ho la più pallida idea.» Mi passai una mano tra i capelli, e mi ripresi la sigaretta ormai sull'orlo di finire.

«L'hai detto a Richard?»

«No.»

Mi fissò in silenzio, con una strana espressione sul viso, incitandomi a dargli delle spiegazioni.

«Mia madre ha minacciato di farmi buttare fuori dall'NBA se rovino il suo matrimonio.»

«Cazzo!» Imprecò serrando i pugni. «Scusa amico, ma devo dirlo ad alta voce; hai dei genitori veramente di merda.»

Mi morsi la lingua e distolsi lo sguardo dal suo. Un magone mi serrò lo stomaco, e dovetti trattenermi per non vomitare tutto il dolore che avevo nel petto in quel momento.
I genitori proteggevano i figli, non li distruggevano. Ma evidentemente i miei avevano pensato di procreassi per usarmi come sfogo personale ed avere un piccolo schiavo da crescere.

«E quindi che farai? Non dirai nulla?» Si guardò intorno, manco stessimo parlando di affari illeciti.

«Non lo so.» Sospirai. «Mi sento un traditore del cazzo.»

«Dylan...» Esitò.

«Richard mi ha protetto con mio padre, e mi ha sempre dato tutto, anche se ci ho messo dieci anni per capirlo. Ed io gli sto nascondendo una cosa del genere perché sono un fottuto codardo che ha paura di perdere l'unica cosa della mia vita in cui credo. Lui ama Rylie, non posso fargli questo.»

Fino ai tuoi occhi - Secondo volumeDonde viven las historias. Descúbrelo ahora